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giovedì 21 marzo 2019

RECENSIONI

ED ECCOMI RECENSITA DA EC SHIVERS

“Il caso di Roccaventosa” di Giuditta Di Cristinzi

Titolo: Il caso di RoccaventosaAutore: Giuditta di CristinziEditore: Robin EdizioniPagine: 176Anno: 2016
Voto: 5/5
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Giuditta Di Cristinzi, molisana DOC, molto legata alla sua terra, dove vive e lavora come avvocato, è un’autrice piena di interessi. Oltre ad un blog, a romanzi e racconti, nel corso degli anni Giuditta ha scritto anche poesie, molte delle quali sono state pubblicate in antologie e hanno ricevuto menzioni di merito.
Dal 2018 collabora con GEArtis, associazione culturale tutta al femminile, che, insieme alla mia socia, avevo avuto il piacere di conoscere alla Fiera del Libro di Firenze, tenutasi lo scorso settembre. Per saperne di più sulla Fiera, cliccate qua: FIRENZE LIBRO APERTO 2018; per conoscere meglio l’associazione GEArtis e quello di cui si occupa, questo è invece il link che fa per voi: http://geartiswebmagazine.com/!
Per cui oggi sono molto felice di dirvi la mia sul romanzo che Giuditta mi ha chiesto di leggere e recensire, un’opera dal titolo evocativo e che preannuncia al suo lettore una trama tinta di giallo: Il caso di Roccaventosa.
Nella fervida immaginazione dell’autrice, Roccaventosa è un piccolo paese immaginario, situato in Molise, ma al confine con Lazio e Campania. Le sue origini sono molto antiche, ma la storia non ha mai smesso di bussare alla sua porta. Il romanzo è infatti ambientato nel 1948, ovvero nell’immediato dopoguerra, un periodo molto difficile e delicato non solo per il piccolo paese, ma per l’Italia tutta. La gente che abita Roccaventosa è perciò fiera e restia a concedere fiducia ai nuovi venuti, ma anche parsimoniosa, amante della buona tavola, abituata al sudore della fronte e rispettosa nei confronti dei signori Papaleo, la famiglia più ricca e potente della comunità, che abita in un maestoso e possente castello, circondato da mura e da un ampio parco.
A rompere l’equilibrio già precario del paese arriva niente meno che un omicidio, ma non un omicidio qualsiasi, quello della nobile quasi ottantenne Donna Clelia Papaleo, che viene trovata morta, in una posizione contratta e irrigidita, nella serra del giardino d’inverno del castello, dalla domestica Rosa.
Quando l’ispettore Sandro Costa, trasferito dalla Sicilia e subito incaricato di indagare sul caso, arriva sulla scena del crimine, capisce immediatamente che non si tratta di un semplice attacco d’ictus, come vogliono fargli credere, ma di un omicidio in piena regola, e precisamente di un avvelenamento.
Da quel momento scattano le indagini e gli interrogatori, i funerali della principessa vengono per ovvi motivi rimandati, e Costa si vede costretto a fare i conti con cittadini poco collaborativi e nobili indispettiti dal suo comportamento. Tutti cominciano a considerarlo un personaggio scomodo, uno che vuole solo creare problemi e fondamentalmente un inesperto che parla a sproposito. La vita per Costa si fa sempre più difficile, ma i primi riscontri investigativi, come il ritrovamento del diario della vittima con alcune pagine strappate, sono pietre che schiacciano l’indifferenza. Alla fine l’ispettore, con il suo spirito arguto e la sua voglia di giustizia, giungerà alla verità, spiazzando completamente chi non credeva in lui e nelle sue capacità. Come la stessa autrice ha dichiarato in un’intervista, l’idea per questo personaggio le fu ispirata dal padre, anch’egli integerrimo classe 1919.
I personaggi e gli intrighi nel libro sono moltissimi, la scrittura è fluida e accattivante, precisa e lineare. Il caso di Roccaventosa si legge con piacere e si vede che è stato scritto e curato da una persona di cultura. Personalmente ho molto apprezzato i frequenti richiami alla natura schietta e bellissima del Molise, alla sua campagna disseminata di olivi e baciata costantemente dal sole, alla sua cucina povera, ma ricca di sapori. Leggendo traspare tutto l’amore dell’autrice per la sua terra, e il lettore non può che venirne coinvolto e ammaliato.
La trama del romanzo, che ricordiamo essere il primo per la Di Cristinzi e anche per questo le rinnovo i miei complimenti (un esordio assolutamente ben riuscito), si sviluppa senza incertezze, trovando un  sereno equilibrio tra descrizioni, narrazione e parti dialogate, cosa non comune anche negli scrittori di maggior successo.
I personaggi sono ben delineati; l’autrice riesce con pochi tratti a dipingerne i ritratti, lasciando poi campo libero allo sviluppo delle psicologie. Così, ad esempio, l’oste Bertuccio, dal quale Costa si reca per rifocillarsi, viene descritto come un uomo dalla “bella pancia pronunciata e il naso rubizzo”, che dopo un mezzo inchino comincia ad elencare i piatti del suo “menu”. Realismo pittorico in piena regola.
Tutti gli attori del romanzo, in egual misura, dai collaboratori dell’ispettore, Ferrara e Parisi, inizialmente reticenti e perplessi, ai nobili Papaleo e ai loro servitori, sono quindi credibili e veritieri, e assecondano il luogo e soprattutto il momento storico in cui la loro creatrice li ha collocati.
Complimenti ancora a Giuditta di Cristinzi, a cui auguro di continuare a coltivare la passione per la scrittura, che dà ottimi frutti!
Cat.


DONNE O WONDER WOMAN?

Stamattina  ho letto un interessante articolo su una rivista. L'argomento mi tocca da vicino, quindi tornata a studio, ho voluto approfondire la ricerca sul sito www.disabili.it ove è pubblicata la notizia integrale successiva ad un'inchiesta.

Pare che 9 donne su 10, in realtà l'86%, si occupi della cura e dell'assistenza di un familiare bisognoso, genitori, coniuge o figli, spendendo gran parte delle energie e del tempo della giornata, con piacere, ma con sacrificio e a danno della propria salute. 

Riporto dal sito: 

"In Italia l’86% delle donne è impegnato con diversi gradi di intensità nell’assistenza a familiari ammalati, figli, partner o più spesso genitori. 1 su 3 se ne prende cura senza ricevere aiuto e solo 1 su 4 è agevolata dal punto di vista lavorativo.

www.villagecare.it

Sono tante, tantissime (oltre 15 milioni di persone, secondo i dati ISTAT del 2011), si prendono cura quotidianamente di figli, mariti, genitori, partner disabili o anziani, rinunciano al lavoro e alla vita sociale, ma anche a curare la loro salute. Sono le donne che in Italia sono caregiver, alle quali Onda, l’Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere, in collaborazione con Farmindustria, ha dedicato un approfondimento all’interno del Libro bianco 2018 “La salute della donna – Caregiving, salute e qualità della vita”, appena presentato UNA INCOMBENZA CHE LE LASCIA SOLE.
Non sono dati confortanti, quelli che emergono dallo studio: innanzitutto quante sono? Sono tante: la ricerca rileva che lo fanno 86 donne su 100. Un terzo di queste si occupa dei propri cari senza aiuti, solo la metà fa affidamento su collaborazioni saltuarie in famiglia e soltanto nel 14% dei casi si appoggia a un aiuto esterno. Per le donne lavoratrici la situazione si aggrava ulteriormente dal momento che solo 1 su 4 può avere accesso al part-time, allo smart working o agli asili assistenziali.
COSA FA LA CAREGIVER FAMILIARE?  La giornata di una caregiver ruota intorno alle esigenze del congiunto che assiste: deve quindi dividersi tra accudimento generale (lavare, dare da mangiare, seguire nelle operazioni basilari della vita quotidiana) a compiti propriamente infermieristici, come eseguire medicazioni e somministrare farmaci, fino  a mansioni burocratiche.

I RISCHI PER LA SALUTE  Si tratta di un carico assistenziale che impatta a 360 gradi con la vita di queste persone, minandone la salute, poiché, di fatto, ci si trascura perché non c’è più tempo per sé. La ricerca rileva che  in molte trascurano la propria salute anteponendo quella della persona che accudiscono e si trovano così a rimandare visite mediche, controlli ed esami, a seguire un’alimentazione scorretta, privandosi spesso di una regolare attività fisica e del giusto riposo notturno. 

RISCHIO DI BURNOUT   Anche quando un caregiver non sia ammalata  di qualcosa di “visibile”, non è detto che a livello psichico la sua salute non risenta del forte stress cui è sottoposto a livello psichico: il carico che ne consegue può rivelarsi attivatore di malattie e depressione, fino ai casi più estremi dove il caregiver può sperimentare la sindrome del burnout, uno stato di 
esaurimento emotivo, mentale e fisico causato da uno stress prolungato nel tempo legato ad un carico eccessivo di lavor
o e problemi familiari. 

In aggiunta, il cambiamento di abitudini e la mancanza di tempo libero modificano le relazioni affettive e familiari portando all’isolamento.

COME SI CURANO LE CAREGIVER  La caregiver che si accorge di stare male, cerca di arrangiarsi. La ricerca rileva che nel 46% dei casi di problemi lievi di salute e nel 29% delle situazioni più gravi, la donna si prende cura di sé stessa da sola. Ben il 68% delle donne con alto tasso di coinvolgimento nel caregiving è totalmente autonoma nella gestione delle proprie problematiche di salute, talvolta anche fortemente invalidanti.

PEGGIORE QUALITA’ DELLA VITA  Per quanto riguarda la salute delle donne in generale, il Libro bianco conferma che, nonostante vivano più a lungo (84,9 anni, contro gli 80,6 degli uomini), hanno un’aspettativa di vita “in buona salute” di 57,8 anni rispetto ai 60 per gli uomini perché più soggette a fragilitàpolipatologie, perdita di autosufficienza e più predisposte a disturbi cognitivi e depressivi.

SOSTENERE LE CAREGIVER  Le caregiver familiari si ammalano, non si curano, devono rinunciare al lavoro, non hanno il tempo per un caffè con le amiche, per una chiacchiera, figurarsi per il parrucchiere. Ma queste donne lavorano: giorno e notte a seguire una persona malata, sostituendosi in alcuni casi allo Stato in una assistenza che altrimenti peserebbe anche sulle tasche di tutti noi. 

Il minimo che si possa fare, a questo punto, è riconoscere il loro lavoro, in primis riconoscendo loro diritti legati alla contribuzione lavorativa, e permettendo loro di licenziarsi dal lavoro con la certezza di percepire una pensione quando sarà il momento. Si attende che anche a livello centrale ci si allinei a  normative regionali che in alcuni casi hanno superato la normativa nazionale, come nei casi di Emilia Romagna, Lombardia, Lazio, Piemonte, Sicilia, Toscana e Veneto."

L'articolo mi è parso stimolante perché l'argomento mi interessa da vicino sotto più punti di vista personalmente. 
Sono una donna che ha superato i 50, ho tre figli maschi che sono stati piccoli e ospedalizzati più volte per vari motivi, più o meno gravi, sono figlia di una mamma anziana che a settembre è caduta,  si è rotto il femore e non è più automa, lavoro fuori casa e mi occupo dei miei beni. Dunque sono abbastanza  impegnata. 
Mi sono rispecchiata parecchio nella ricerca. 
E' dura per me ed è dura per le altre cosiddette caregiver. Io ho potuto avvantaggiarmi sempre dell'aiuto di qualcuno -per mia fortuna-, ovviamente pagando,  ma c'è chi non ne ha le possibilità o la mentalità. 
Quando i miei ragazzi erano piccoli erano dei diavoletti e finivamo spesso in pronto soccorso, inoltre (forse un fatto di numero?) siamo finiti spesso ricoverati per interventi di varia natura (una frattura, una broncopolmonite, l'asportazione delle adenoidi, una torsione dei testicoli, quattro interventi all'orecchio, ...).
Ebbene io sono stata sempre accanto a loro, quasi 24 ore su 24, ho "dormito" sempre in ospedale, magari su una sediola, nessuno mi ha mai sostituito (e certo sono la mamma, si dirà), ho dovuto far quadrare il cerchio con grandi difficoltà e sofferenze, e a volte , non nego, anche con qualche risentimento nei confronti di chi avrebbe potuto darmi una mano in più e non l'ha fatto. Spesso la notte non ho dormito per emergenze varie come  la febbre, il vomito, l'allattamento al seno per un anno per ognuno dei miei figli, ma la mattina mi sono sempre alzata e via.

Ho sempre contestualmente lavorato fuori casa e badato alla casa, fatto la spesa per una famiglia numerosa di quattro  maschi, con tanto di cane e gatto...

Ora la mia adoratissima mamma, ormai 91enne si ritrova lucida ma fragile, alle ultime battute della vita, bisognosa di assistenza, di presenza, di cura, di chi vada a farle la spesa, di chi le faccia compagnia, di chi  disbrighi le varie pratiche amministrative per l'invalidità civile e simili, di chi le compri le scarpe ortopediche o le calze o un pigiama o le faccia fare una passeggiata al sole. 
Ognuno è  preso dalle sue  attività di lavoro, dagli impegni più vari e mamma spesso è sola con la badante. Non riceve che rare visite e telefonate. 
La maggior parte (per fortuna non tutti) degli  amici parenti e compari è sparita, eppure lei è stata, a parer mio, così buona, premurosa e scrupolosa con tutti...

Io devo sopperire a tutte le esigenze, le più disparate, e  spesso mi trovo stanca, frustrata, svuotata, incompresa. Sempre in lotta con il tempo. Ho dovuto ovviamente rinunciare ai miei hobby, dolorosamente anche alla scrittura, alla palestra e ad altro. Ma provo con tutte le forze e la determinazione che mi contraddistinguono a non lasciarmi andare, a non mollare, a avere sempre un po' cura di me. 
La mattina indosso la mia maschera di persona  allegra ed estroversa, mi vesto, mi trucco, mi stampo in viso un bel sorriso e affronto la giornata. 

Ma al di là dello sfogo personale che mi ha preso la mano, ritengo che inchieste come questa, articoli così meritino più di una riflessione.
Non mi pare più tempo di  femminismo,  invece io mi metterei ancora a marciare in corteo per chiedere  attenzione su queste problematiche e per richiede risoluzioni sociali e politiche in favore e a sostegno della condizione delle donne ancora così ingiustamente sacrificata in pieno terzo millennio. 
I  pesi familiari, sanitari, affettivi non dovrebbero ricadere solo ed esclusivamente su di noi  che in tal modo veniamo  fortemente penalizzate nel lavoro, nella carriera,  nei  guadagni, nell'indipendenza economica,   nell'autoaffermazione e finanche nella cura di noi  stesse e della salute.  





martedì 12 marzo 2019

FEMMINILE PLURALE

Domenica 10 marzo, a Venafro, nella sala della ristrutturata Palazzina Liberty,
si è svolta con notevole successo di pubblico, la quinta edizione di Femminile Plurale, organizzata da EtCetera Cultura e Società. 
La fortunata kermesse ha ospitato una sorta di  talk-show animato da Sara Ferri,
vicepresidente associativo e rappresentante della Cooperativa il Geco
Sara ha intervistato con la verve  che la contraddistingue, Gigetta Altopiedi, Luce Visco e Sharon Adibeli.  

Gigetta è nota in provincia per essere un'attivista politica, da sempre impegnata nel sociale per la tutela dei più deboli, insegnante di lettere, scrittrice e autrice di tre volumi. 
L'ultimo, edito per i tipi de L'Erudita di Roma, sarà presentato a breve. Abbiamo saputo in anteprima assoluta che è intitolato Maryam ed è dedicato alla Madonna vista nella sua umanità, così come l'autrice ha potuto ricostruirla e coglierla dallo studio annoso e attento delle Sacre scritture. Leggeremo con interesse. 

La seconda ospite, Luce Visco, è una giovane molisana, di Colli al Volturno, transgender. Una donna coraggiosa che ha vissuto sulla propria pelle l'esperienza di sentirsi nata in un corpo sbagliato. Luce, al secolo ancora per poco Pierluca, ha sofferto, si è confrontata con i pregiudizi, la famiglia, il paese, la società per affermare se stessa e, con l'aiuto di amici e di un laborioso  percorso psicoterapico, è riuscita nello scopo di vivere liberamente per quello che è:  una meravigliosa e bella donna di 22 anni. Ha subito cure fastidiose e interventi e ancora ne affronterà; attualmente è impegnata come referente Arcigay Molise. 

Infine Sharon Adibeli, nigeriana ventiduenne,  ha raccontato con emozione, un po' in inglese, un po' in italiano, l'odissea vissuta con la famiglia alla ricerca di una vita migliore. 
Abbandonato il paese di origine, morto il padre, attraversato il Niger,  è giunta in Libia. Lì è stata tragicamente separata dalla madre della quale ha perso le tracce,  è stata rinchiusa in carcere e ha subito privazioni e violenze, è  stata mal nutrita e non ha potuto lavarsi per intere settimane, finché non è stata tradotta  sulla costa meridionale del Mediterraneo per la traversata della fortuna. 
In mare ha perso la giovane sorella ed è approdata in Italia ove è stata ospite di diversi centri di accoglienza con alterna fortuna. Ora, giunta in Molise, sta imparando la nostra lingua e un mestiere per vivere. Nella sua voce, rotta dall'emozione, e negli occhi colmi di lacrime represse, tutto il contrasto tra il ricordo delle sofferenze e delle perdite patite e la speranza di una giovane vita espressa anche con un melodioso canto nel quale si è esibita alla fine del sua preziosa testimonianza.

Ha allietato il pomeriggio la musica e la voce del talentuoso giovane musicista venafrano Aldo Mascio e hanno cantato anche a cappella due giovani di colore facenti parte di un coro gospel nato in paese.
Il presidente di EtCetera Cultura e Società, il filosofo professore Francesco Giampietri
ha fatto gli onori di casa e ha presentato i vari momenti. 
Conclusa la prima parte, è stato presentato dalla scrivente l'ultimo  e terzo libro di Giulio Perrone
Giulio è un vecchio amico dell'associazione. È un editore e uno scrittore romano di successo. Nel 2005 ha fondato a Roma con la moglie Mariacarmela Leto la Giulio Perrone Editore. 
Ha pubblicato nel 2015 L'esatto contrario, un thriller ambientato a Roma in zona universitaria e, nel 2017,  il divertente Consigli pratici per uccidere mia suoceraRisultati immagini per perrone giulio immagini, presentato anche a Venafro, entrambi con la RizzoliIl 14 febbraio di quest'anno è uscito L'amore finché resta per Harpercollins ItaliaRisultati immagini per l'amore finche resta copertina
Il libro, godibilissimo, piano, scorrevole, divertente, narra di Tommaso Leoni, uno psicologo  quarantenne superficiale e farfallone, sposato per interesse con una pariolina ricca e viziata, padre di Piero, costretto dall'abbandono della moglie a fare i conti con la dura realtà. 
I passi più gustosi del libro sono stati letti, anzi interpretati con passione da Vera Cavallaro, psicologa e attrice. Risultati immagini per vera cavallaro immagini Molte le copie vendute. 



L'incontro di domenica, patrocinato dal Comune di Venafro, ha celebrato la donna, in occasione dell'annuale festa, in maniera non retorica, esaltando ed evidenziando la femminilità nelle sue tante declinazioni e sfaccettature. 
EtCetera dà appuntamento alla prossima edizione!

                                                              Giuditta Di Cristinzi

domenica 3 marzo 2019

CARNEVALE A VENEZIA

A.S. ANCHE SE CON UN PO DI RITARDO PUBBLICO LA MIA CRONACA SU UN VIAGGIO BREVE MA BELLO

I VIAGGI DELL’ANIMA
CARNEVALE A VENEZIA
Giuditta Di Cristinzi

L'ultima occasione di viaggio è stato il Carnevale e una fuga alla Thelma e Louise con la mia amica del cuore, Raffaella.
Siamo partite in comitiva all'alba di sabato 2 marzo, abbiamo attraversato parte dell'Abruzzo e il piano delle Cinque Miglia ancora innevato nella zona di Roccaraso e Rivisondoli per giungere sull' Adriatico, aperto, azzurro, meraviglioso.
Lo abbiamo pressoché costeggiato in autostrada fino alla prima meta del viaggio, Ferrara,
una città incantevole e a misura d’uomo (Ferrara  è un comune italiano di circa 130.000 abitanti, capoluogo dell'omonima provincia in Emilia-Romagna. E’ stata  capitale del Ducato di Ferrara nel periodo degli Estensi, quando ha rappresentato un  importante centro politico, artistico e culturale. Lo sviluppo urbanistico avvenuto durante il Rinascimento, l’”Addizione Erculea”, l’ha resa la prima capitale moderna d'Europa. Nel 1995 ha ottenuto  dall'UNESCO il riconoscimento di patrimonio dell'umanità come città del Rinascimento e nel 1999 ne ha ottenuto un secondo per il delta del Po e per le  delizie estensiFerrara è sede universitaria (Università degli Studi di Ferrara) e arcivescovile (arcidiocesi di Ferrara-Comacchio) (Fonte Wikipedia).
Siamo entrate nel cuore del borgo e abbiamo attraversato il corso che ospitava  un interessante e ricco mercatino dell'usato: banchi  colorati e variegati, venditori garbati  ti e  invitanti, porcellane, tappeti, quadri, monili,  mobili restaurati, oggetti vintage. Avrei comprato di tutto se avessi avuto un “portafogli ad organetto”, come dice mia madre e la possibilità di caricare le cose per riportarle a casa!
Siamo giunte nella Piazza del Municipio dove cominciavano a riunirsi le prime maschere del Carnevale rinascimentale
(Dopo più di cinquecento anni è tornato infatti in vita il Carnevale Estense nella raffinata cornice della deliziosa città. La rievocazione storica del Carnevale che gli Estensi usavano celebrare nel XV e XVI secolo è stata un’occasione per immergersi in una atmosfera storica e un po’ magica, quella rinascimentale di una  Corte,  in particolare del Duca Ercole I d’Este e di Lucrezia Borgia. Feste in costume nei palazzi storici, cortei di figuranti delle Contrade del Palio, giochi di fuoco e di abilità, danze rinascimentali, concerti, banchetti, cene rinascimentali, divertenti rappresentazioni teatrali, escursioni culturali, visite guidate e animazioni in costume hanno animato per giorni la città, nel segno di Lucrezia Borgia, madrina delle celebrazioni, che giunse a Ferrara il 2 febbraio 1502 nel pieno dei festeggiamenti. Per riportare in vita la ‘Città capitale del Rinascimento’ e dare nuova linfa a questo evento strettamente legato al Ducato Estense, gli organizzatori hanno pensato di associare il Carnevale in stile al Trionfo del pasticcio di maccheroni, per promuovere questo prodotto gastronomico tipico. L’evento  tributa anche un omaggio alla storia della duchessa Eleonora d’Aragona, emblema di una Ferrara riconosciuta appunto  come simbolo del Rinascimento italiano.   Va detto inoltre che il Carnevale di Ferrara è l’unico in  Italia ad avere radici nel Rinascimento   e fa sì  che il centro storico  viva un viaggio nel tempo, nel mondo delle feste da ballo e dei banchetti dei duchi, dei duelli e dei tornei dei cavalieri, del teatro e degli sfarzi. Il borgo  si immerge completamente nelle atmosfere fiabesche del Carnevale e per tutto il periodo, a partire dal giovedì grasso, Ferrara è un tripudio di feste rinascimentali in costume nei palazzi storici, visite animate alla scoperta delle tante vite della città, piatti tipici dell’epoca, rappresentazioni di teatro classico, dei quali abbiamo avuto una seppur piccola idea).
Dopo aver assistito alle prime esibizioni e aver scattato le prime foto, siamo entrate del Duomo per una rapida visita. Iniziato a costruire nel XII secolo, è l'esempio di una sovrapposizione di stili, rettangolare a tre navate, pavimentato con marmi policromi a intarsio, è intitolato a San Giorgio (La cattedrale è stata costruita a partire dal XII secolo, con il contributo di Guglielmo II Adelardi e del principe Federico Giocoli, quando la città si stava allargando sulla riva sinistra del Po e di conseguenza il centro della città si spostava verso nord. La precedente cattedrale era la chiesa di San Giorgio, ancora oggi chiesa parrocchiale. E’ stata consacrata nel 1135 e dedicata anch’essa a san Giorgio, come si legge nell'iscrizione in volgare, nell'atrio della chiesa. Lo stile romanico del progetto iniziale è testimoniato dalla facciata. Nel XV secolo è stato eretto il campanile su progetto di Leon Battista Alberti,  tuttavia non è mai stato  terminato e tutt'oggi è privo della prevista copertura a cuspide. Nello stesso periodo, è stata realizzata l'abside su progetto del ferrarese Biagio Rossetti.  La facciata della cattedrale di san Giorgio è molto bella ed è attualmente in restauro dunque coperta da un telo; è in marmo bianco, a tre cuspidi, e presenta logge, arcatelle, rosoni, finestroni strombati, statue e numerosissimi bassorilievi. Nella parte centrale della facciata risalta il protiro, sorretto da leoni e telamoni, sormontato da una loggia a baldacchino con la statua della Madonna con il bambino (aggiunta tardogotica) e, in alto, è scolpito un Giudizio Universale di influenza gotico-francese. Nel Giudizio Universale i dannati vanno verso l'Inferno, i beati verso il Paradiso) (Fonte Wikipedia).
Proprio di fronte alla cattedrale c’è il Palazzo Municipale che è stato  residenza ducale degli Este fino al XVI secolo, quando la corte si trasferì al vicino Castello Estense. Attualmente è  sede del comune di Ferrara.
Dopo averlo ammirato dall’esterno abbiamo proseguito, soffermandoci davanti alle vetrine più belle, fino a Palazzo Estense
,  cinto da un vallone pieno d'acqua ove è possibile fare  un giro in  barca. Il Palazzo è stata la  residenza di Francesco III d'Este, Duca di Modena e Reggio. La sobria facciata rivolta verso il centro della città contrasta con il lato verso il giardino. Le forme sono quelle misurate tipiche del "barocchetto" lombardo, non privo di influssi neoclassici, con paraste e cornici marcapiano in bianco che risaltano sullo sfondo rosa dell'intonaco. Sul frontone si erge una meridiana sormontata dall'aquila ducale,  che attraversa il canale. Lì abbiamo fatto tante foto al Palazzo e alle mascherine che aspettavano sull’impiantito antistante l’ingresso  in occasione della parata
. Quindi ci siamo spostate in un baretto vicino per fare un aperitivo sedute comodamente un tavolino esterno e per godere dello spettacolo della sfilata delle maschere, una sorta di Palio delle contrade e dei  quartieri, con tanto di insegne e  musici.
Siamo ripartite alla volta di Chioggia,  Venezia in piccolo, già in piena lacuna veneta,  dove abbiamo abbondantemente cenato e riposato per la notte in hotel.
Il giorno successivo, domenica 3, dopo la colazione, siamo ripartite sino a l'imbarco in vaporetto per Venezia, ultima e più importante meta del nostro itinerario (Venezia  è un comune italiano di circa 260 657 abitanti, il cui centro storico (limitato ai sestieri della città lagunare) ne conta invece circa 54.000,  capoluogo dell'omonima città metropolitana e della regione Veneto. È il primo comune della regione per popolazione, undicesimo in Italia e primo in Veneto per superficie. Comprende sia territori insulari sia di terraferma ed è articolato attorno ai due principali centri di Venezia (al centro dell'omonima laguna) e di Mestre (nella terraferma). La città  è stata per più di un millennio capitale della Repubblica Veneta ed è conosciuta a questo riguardo come la Serenissima, la Dominante e la Regina dell'Adriatico. Per le peculiarità urbanistiche e per il suo patrimonio artistico, Venezia è universalmente considerata una tra le più belle città del mondo ed è stata dichiarata, assieme alla sua laguna, patrimonio dell'umanità dall'UNESCO: questo fattore ha contribuito a farne la terza città italiana (dopo Roma e Milano) con il più alto flusso turistico). (Fonte Wikipedia).
Il viaggio è stato rilassante, suggestivo e meraviglioso quasi quanto la meta;  nell'acqua placida del canale si specchiavano le casette rimesse a nuovo,  tinteggiate con colori tenui o  accesi,  i più diversi;  la nebbia del mattino ha cominciato a diradarsi per lasciare  posto a un cielo limpido e a  una giornata tiepida e primaverile. Arrivate all'attracco,  abbiamo cercato i punti di riferimento per la ripartenza del pomeriggio alle 16.00. Qualche ora per camminare spensieratamente tra le calli  e le tante bellezze veneziane sono bastate per svagarci  completamente, ritemprare il corpo e lo spirito  e per dimenticare i prosaici  impegni della vita quotidiana: spesa,  casa, cucina, lavoro (Raffa ed io siamo colleghe, entrambe magistrati onorari a Cassino), sentenze,  figli, mamme anziane e doveri vari.
Dopo aver varcato qualche ponte e subìto  parecchi controlli di polizia e carabinieri, siamo giunte in Piazza San Marco
che si è aperta alla nostra  destra, nota nel suo incanto eppure sempre nuova nella sua straordinarietà. Come si può descrivere a parole l’apoteosi della bellezza, la prodigiosa sintesi di cielo, mare e arte creativa dell’uomo che nel suo genio a volte sfida la natura!? Come posso riuscirci io, rapita, presa, confusa da tale trionfo di bellezza!?
Lascio a scrittori illustri il tentativo di descrivere a parole l’ineffabile.
La laguna è opera antica della natura. Dapprima la marea, il riflusso e la terra in azione reciproca, quindi il progressivo abbassamento delle acque preistoriche, fecero sì che all’estremità superiore dell’Adriatico si formasse una considerevole zona paludosa, che, dopo esser stata sommersa dall’alta marea, viene parzialmente lasciata libera dal riflusso. L’arte umana s’impadronì dei punti più eminenti, e così nacque Venezia, collegando in sé cento isole, circondata da cento altre.”(Johann Wolfgang Goethe). “Venezia: beltà lusingatrice e ambigua – racconto di fate e insieme trappola per i forestieri.” (Thomas Mann).
Ci siamo incantate dinanzi alle maschere del Carnevale di tradizione soprattutto settecentesca che passeggiavano fiere e divertite nei loro indovinati costumi, liete  di farsi guardare e  fotografare, protagoniste per un giorno grazie al travestimento. Il Carnevale a Venezia è ancora molto sentito.
(Se non è  il più grandioso, è sicuramente il più conosciuto d’Italia per il fascino che esercita e il mistero che continua a possedere anche adesso che sono trascorsi 900 anni dal primo documento che fa riferimento a questa famosissima festa. Si narrano ricordi delle festività del Carnevale fin dal 1094, sotto il dogato di Vitale Falier, in un documento che parla dei divertimenti pubblici nei giorni che precedevano la Quaresima. Il documento ufficiale che dichiara il Carnevale una festa pubblica è del 1296 quando il Senato della Repubblica dichiarò festivo l’ultimo giorno della Quaresima. Tuttavia il Carnevale ha tradizioni molto più antiche che rimandano ai culti ancestrali di passaggio dall’inverno alla primavera, culti presenti in quasi tutte le società, basti pensare ai Saturnalia latini o ai culti dionisiaci nei quali il motto era “Semel in anno licet insanire” ed è simile lo spirito che anima le oligarchie veneziane e le classi dirigenti latine con la concessione e l’illusione ai ceti più umili di diventare, per un breve periodo dell’anno, simili ai potenti, concedendo loro di poter burlare pubblicamente i ricchi indossando una maschera sul volto.
Una utile valvola di sfogo per tenere sotto controllo le tensioni sociali sull’esempio del “Panem et Circenses” romano. Se un tempo il Carnevale era molto più lungo e cominciava addirittura la prima domenica di ottobre per intensificarsi il giorno dopo l’Epifania e culminare nei giorni che precedevano la Quaresima, oggi il Carnevale ha la durata di circa dieci giorni in coincidenza del periodo pre-pasquale ma la febbre del Carnevale comincia molto tempo prima anzi, forse non è  scorretto dire che, a Venezia, la febbre del Carnevale non cessa mai durante l’anno. Una sottile euforia si insinua tra le calli della città più bella del mondo e cresce impercettibilmente, sale con la stessa naturalezza dell’acqua, sfuma i contorni della cose, suggerisce misteri e atmosfere di tempi andati. Un tempo il Carnevale consentiva ai Veneziani di lasciar da parte le occupazioni per dedicarsi totalmente ai divertimenti, si costruivano palchi nei campi principali, lungo la Riva degli Schiavoni, in Piazzetta e in Piazza San Marco. La gente accorreva per ammirare le attrazioni più varie: giocolieri, saltimbanchi,  animali danzanti, acrobati; trombe, pifferi e tamburi venivano quasi consumati dall’uso, i venditori ambulanti vendevano frutta secca, castagne e fritòle (le frittelle) e dolci di ogni tipo, ben attenti a far notare la provenienza da Paesi lontani delle loro mercanzie. La città di Venezia, grande città commerciale, ha sempre avuto un legame privilegiato con i Paesi lontani, con l’Oriente in particolare cui non manca, in ogni edizione del Carnevale, un riferimento, un filo rosso che continua a legare la festa più nota della Serenissima al leggendario Viaggio del veneziano Marco Polo verso la Cina alla corte di Qubilai Khan dove visse per circa venticinque anni.) (Fonte www.carnevalevenezia.com).

Molti i giovani, ma anche le persone di una certa età che sentono ancora forte la tradizione e non rinunciano al gioco del travestimento, allo sfizio di  nascondersi dietro una maschera per divertirsi  e dimenticare le preoccupazioni quotidiane  e forse anche se stessi, ovvero la maschera che si indossa abitualmente, ogni giorno, per vivere e confrontarsi con gli altri.
Queste riflessioni hanno portato Raffaella e me a ricordare la poetica di Pirandello, di  Uno, nessuno e centomila, in cui il nobel siciliano 1934 ipotizza che la maschera non sia altro che una mistificazione, un simbolo alienante, indice della spersonalizzazione e della frantumazione dell'io in identità molteplici, ed anche  una forma di adattamento in relazione al contesto e alla situazione sociale in cui si produce un determinato evento. Rimembranze di vecchie studentesse del liceo classico di una volta.
Tornate alla realtà abbiamo ammirato gli abiti elaborati, coordinati, variopinti, tematici, sintesi  ben riuscite di sete,  broccati, velluti, canape, passamanerie,  merletti, righe, fiori,  nastri,  fiocchi, parrucche,  cappelli e finanche calze bianche e scarpe di sapore settecentesco con tanto di fibbie metalliche. Avvolte dal turbinìo di colori e graziate da un clima mite e piacevole, abbiamo preso un caffè al famosissimo Florian,  rimanendo colpite da un gruppo di sei, sette mascherine, attempate,  sedute ad  un tavolo fare una colazione ricchissima  come avrebbero potuto fare nel ‘700-‘800 dei  nobili di corte: cioccolata calda in tazza e pasticcini di ogni genere.

Abbiamo assistito allo spettacolo del volo dell'Aquila o, meglio, dello “svolo” che è stato interpretato quest’anno dalla campionessa di Short Track, Arianna Fontana, vincitrice di ben 8 medaglie olimpiche.
Abbiamo fotografato una delle maschere più premiate al Carnevale 2019, il Viaggiatore,  un giovane damerino  con abito  di tessuto decorato con cartine geografiche di Alviero Martini e i due emisteri di fianco,  sui lati, realizzati in  velluto azzurro oceano con decori che riproducevano i cinque continenti.

Ci siamo poi allontanate dalla piazza  per entrare in qualche negozio di lusso,  templi del bello contemporaneo e della moda,  Hermes, Dior, Fendi. Le commesse,  garbate, benché ovviamente avessero capito che non eravamo giapponesine in vena di acquisti,  ci hanno fatto provare borse, occhiali e foulards, facendoci sentire milionarie.
Ci siamo poi addentrate per le calli più distanti perdendo la nozione del tempo; abbiamo attraversato piazze e  piazzette,  slarghi e stradine,  canali e scalette, visto  gondole,  turisti e souvenirs fino al Ponte di Rialto, meraviglioso e bianco, abbiamo scattato  tante foto e fatto  una pausa per uno spuntino e una sosta per un caffè.
Ci siamo attardate  oltre il consentito e, arrivate le 16.00, eravamo ben distanti dal luogo dell’appuntamento per la ripartenza, lontane dal vaporetto e dall’imbarco e un po’ disorientate. Uscite da Piazza San Marco, sembrava dovessimo percorrere solo pochi metri e invece…
Corri, corri, corri  alla ricerca dei  punti di riferimento individuati all'andata  e dei sassolini lasciati da noi stesse, turiste fai te, novelle Pollicino, i conti non sono tornati. I ponti erano gremiti di turisti che hanno rallentato e stancato. Giunte all'imbarco in ritardo,  quando il vaporetto stava ormai per partire, tirate praticamente a bordo del marinaio,  siamo state accolte da un applauso da parte degli altri passeggeri, alcuni indispettiti, altri divertiti dalla nostra disavventura.
Ci siamo scusate mostrandoci contrite, ma intimamente soddisfatte dal nostro essere ritornate per un giorno spensierate come due ragazzine in gita scolastica.
Il viaggio di ritorno, lungo e quasi notturno, non ci ha stancato  più di tanto per quanto siamo state ristorate dalla breve fuga,  complice, chiacchierina,  estemporanea, ritemprante.
Dopo solo poche  ore di sonno,  al mattino dopo, udienza, sentenze e doveri familiari sono risultati meno duri.


 P.S. RINGRAZIO CLARA STAFFIERI PER L'ORGANIZZAZIONE

L'anno della solitudine s'incunea tra la folla dietro condoglianze  di maniera lame acuminate di critica e dissenso taciuti per buon...