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martedì 16 aprile 2019

LE MIE SENTENZE

Tribunale del Lavoro di Cassino, 04 maggio 2017 - Nessun risarcimento per indebolimento dell'udito dell'operaio se i decibel sono al di sotto della soglia limite fissata dalla legge



TRIBUNALE DI CASSINO
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Giudice di Cassino, dott. Giuditta Di Cristinzi, quale Giudice del Lavoro, ha pronunciato la seguente
SENTENZA


Nella causa di lavoro iscritta al Ruolo Generale degli Affari Contenziosi per l’anno 2012 al n. 333, decisa alla pubblica udienza del 04.05.2017, vertente
TRA
DDDD, nato a CCCC il 5 maggio 1948, rappresentato e difeso congiuntamente e disgiuntamente dagli Avvocati MMMM, elettivamente domiciliato presso lo studio SSSS in Cassino alla via XXXXX, giusta delega a margine del ricorso,
RICORRENTE
E
XXX SpA (già XXX AUTO SpA), in persona del legale rappresentante pro tempore con sede in XXX, al Corso AAAA, rapp.ta e difesa in virtù di delega in calce al passivo ricorso, dall’Avv. IIII, domiciliata, unitamente al suddetto Avvocato, presso lo studio dell’Avv. IIII, in AAAA 6,
RESISTENTE
 

Oggetto: risarcimento danni per malattia professionale
 

Conclusioni: i procuratori delle parti concludevano nei termini di cui agli atti introduttivi che, per quella parte, qui debbono intendersi integralmente richiamati.
 

Fatto


Con ricorso depositato in data 22 marzo 2012, DDDD si rivolgeva al Tribunale di Cassino, esponendo di aver prestato attività lavorativa con qualifica di operaio alle dipendenze della XXX per circa 36 anni, dal 1972 al 2008; di essere stato trasferito dal 1974 da TTTT allo stabilimento di Cassino, fino al 1985; di aver svolto mansioni di operaio adibito alla manutenzione dei convogliatori ovvero agli impianti di trasporto delle scocche delle automobili da una zona all’altra dello stabilimento tramite ganci generanti rumore; di essere stato avviato -nel 1985- presso la sede XXXX di TTTT ad un corso di aggiornamento per stampisti, come apprendista le attività di operaio addetto alle prese; di essere rientrato presso la sede XXX di Cassino nel 1987 e collocato al reparto stampaggio con qualifica di aggiustatore scambista di quarto livello; di aver lavorato al reparto stampaggio alla manutenzione di macchine per stampare parafanghi; di aver lavorato presso la cosiddetta “linea 8” dalla quale proveniva intenso rumore dalle presse di vecchia costruzione; di aver lavorato a presse prive della cosiddetta “paratia”; di aver lavorato spesso nei sotterranei del reparto ove scorrevano nastri trasportatori che spostavano pezzi di avanzo delle porte delle automobili e che lasciavano cadere in un canale simile ad una botola i pezzi di risulta causando notevole rumore; di aver lavorato presso il reparto stampaggio per otto ore al giorno dal lunedì al venerdì; di aver effettuato - quando occupato nel secondo turno dalle 14.00 alle 20.00- spesso due ore di straordinario; di essere stato collocato in quiescenza nel 2008; di non aver mai ricevuto mezzi individuali di protezione acustica come tappi protettivi, talvolta non disponibili neanche presso il magazzino centrale; di aver riscontrato, sin dagli inizi del 2007, problemi e fastidi all’apparato uditivo; di essersi sottoposto, in data 20 giugno 2007, ad esame audiometrico, a seguito del quale gli veniva diagnosticata ipoacusia percettiva bilaterale per altre frequenze; di essersi sottoposto ad altro esame medico nel 2008 all’esito del quale gli veniva diagnosticata ipoacusia neurosensoriale bilaterale alle alte frequenze; di averlo inoltrato, in data 11 settembre 2009, denuncia di malattia professionale all’ Inail; di ritenere di aver riportato danno biologico nella misura del 6%.
Tanto premesso in fatto, osservava che il datore di lavoro avesse reiteratamente e prolungatamente violato le norme in materia di salute e sicurezza dei luoghi di lavoro e l’articolo 2087 del codice civile, che la malattia riportata fosse dovuta all’esposizione al rumore durante l’attività lavorativa, che avesse pertanto diritto al risarcimento del danno biologico. Ciò posto concludeva affinché il Tribunale adito accertata l’eziologia professionale della malattia dedotta condannasse la XXX Auto spa a risarcire il danno non patrimoniale a titolo di danno biologico permanente nella misura di € 7.995,00, oltre all’invalidità temporanea totale e parziale, accessori e interessi. Il tutto con vittoria di spese, competenze e onorari.
La società convenuta, costituitasi tempestivamente in giudizio, eccepiva in primis la prescrizione quinquennale al risarcimento del danno morale e quella decennale al risarcimento del danno biologico; nel merito ricostruiva la storia lavorativa del ricorrente (dal 1972 al 1974, aggiustatore meccanico presso MMMM carrozzeria; dal 1974 al 1987, aggiustatore meccanico in aria lastratura; dal 1980 se le altre 2000, addetto alla manutenzione stampi in reparto di stampaggio; dal 2001 al 2005, alle dipendenze della società DDDD spa; dal 2005 al 2008, addetto alla manutenzione stampi in reparto stampaggio; faceva rilevare che per i periodi 1972-1996 non si disponesse di dati ambientali relativi livelli equivalenti di esposizione al rumore delle mansioni svolte; che successivamente si rilevasse un livello di esposizione quotidiana al rumore nella misura di 82,6 dB (1996) per i manutentori addetti agli stampi e, successivamente, un’esposizione quotidiana ad 81,9 dB per gli addetti alla riparazione stampi; affermava che il ricorrente non fosse mai stato esposto a rumorosità ambientale superiore a 81 - 82 dB; che fosse comunque stato correttamente informato sui rischi da rumore. Contestava in ogni caso la fondatezza nel merito del ricorso, chiedendone il rigetto.
All’udienza del 04.05.2017, la causa, dopo la discussione delle parti, veniva decisa come da dispositivo in calce, di cui si dava lettura in aula.
 

Diritto


Il ricorso non è risultato fondato e pertanto va respinto.
Nel corso del processo, venivano raccolte prove testimoniali con i signori PPPP (“il rumore era insopportabile, ma non avevamo lo strumento di misurazione”), CCCC (“venne effettuato monitoraggio della rumorosità e nell’aria della manutenzione stampi non vi era obbligo di portare tappi in quanto i decibel erano circa 80 e comunque sotto i limiti che rendevano necessario l’uso dei tappi”), FFFFF (“Lui era aggiustatore scambista. Lavoravamo nella stessa squadra...In qualche zona del reparto c’erano dei cartelli che segnalavano graficamente di indossare i tappi otoprotettivi”), SSSS (“Tutte le presse erano protette da paratie laterali e superiori. Le cuffie erano in dotazione specifica a ciascun operatore”), SSSSS (“il ricorrente era un mio diretto collaboratore nel reparto stampaggio . non ha mai lavorato nel reparto sotterraneo dell’azienda ... “) e AAAA (“... dal 1987, le presse sono fornite di paratie che fanno da protezione e barriera contro il rumore. ... nella parte sottostante il reparto stampaggio la caduta dei pezzi di lamiera in avanzo nella botola e il successivo spostamento produceva molto rumore. ... il reparto era dotato di tappi; i tappi attutivano il rumore prodotto. Con i tappi potevamo parlare. Eravamo controllati dal punto di vista sanitario. Facevamo visite audiometriche.”), in evidente contrasto tra loro, pertanto unici elementi di giudizio sono risultati i dettami della normativa in vigore e la produzione documentale in atti.
L’ipoacusia rimane ancor oggi la principale malattia di origine professionale, materia regolata in generale dall’art 2087 c.c. e specificatamente da decreti.
A partire dal 1991, con l’entrata in vigore del D. Leg. 277/91, sono stati introdotti dei valori limite di esposizione al rumore il superamento dei quali comporta l’adozione, da parte del datore di lavoro di una serie di provvedimenti a tutela dei lavoratori. Con il decreto legislativo del 10 aprile 2006 n. 195 sono stati definiti i requisiti minimi per la protezione dei lavoratori contro i rischi per la salute della sicurezza derivanti dall’esposizione al rumore. Il decreto ha abrogato le disposizioni di cui al capo IV del D. Leg. N. 277/1991, andando a costituire la nuova normativa in tema di salute e sicurezza relative ai rischi conseguenti l’esposizione a rumore. Il nuovo decreto ha fissato i valori limite, ha indicato i requisiti in base ai quali il datore di lavoro deve valutare il rumore durante il lavoro; ha stabilito le misure che il datore di lavoro deve adottare per eliminare i rischi o per ridurli al minimo; ha determinato i requisiti minimi per la protezione dei lavoratori contro i rischi per la salute e la sicurezza derivante dall’esposizione al rumore durante il lavoro.
In base alla normativa vigente, il titolo di responsabilità del datore di lavoro è stato dal ricorrente prospettato con riferimento alla violazione, da parte del primo, degli obblighi relativi all’adozione di tutte le “misure necessarie a tutelare l’integrità fisica” del lavoratore (art. 2087 c.c.). Ciò precisato, l’indagine mirata alla individuazione di un’eventuale responsabilità datoriale, assume rilevanza se ed in quanto svolta nell’ambito di previsione della norma suindicata.
In particolare - per quel che ai fini della decisione interessa - va notato che il ricorrente si riferisce, in via generale, alla violazione, da parte del datore di lavoro (v. ricorso), dell’obbligo di fornire adeguati strumenti di protezione acustica, nonostante la rumorosità dell’ambiente di lavoro.
In replica ai rilievi del ricorrente, è sufficiente osservare che il sig. DDDD ha lavorato, in qualità di operaio aggiustatore addetto alla manutenzione degli stampi presso il reparto stampaggio, con un’esposizione ad un livello di rumorosità sempre al di sotto degli 85 dbA (si vedano al riguardo gli esiti dei rilievi ambientali eseguiti dal Centro Servizi KKK nel 2005 allegati alla produzione di parte resistente, in ordine alla cui completezza ed attendibilità il ricorrente nessun rilievo ha formulato). L’art. 43 D. L.vo 277/1991 prevede l’obbligo per “il datore di lavoro” di fornire “i mezzi individuali di protezione dell’udito” solo nel caso di “lavoratori la cui esposizione quotidiana personale (possa) verosimilmente superare 85 dbA” (1° comma); nonché l’obbligo dei lavoratori di “utilizzare i mezzi individuali di protezione dell’udito forniti (loro) dal datore di lavoro” (e quindi del datore di lavoro di controllarne l’effettivo utilizzo) solo nel caso in cui la “esposizione quotidiana personale super(i) 90 dbA” (4° comma).
L’art. 44, poi, prevede l’obbligo di “controllo sanitario” per “i lavoratori la cui esposizione quotidiana personale al rumore super(i) 85 dbA”.
Preso atto delle disposizioni normative vigenti in materia (che nella specie valgono a riempire concretamente di contenuto il generico obbligo sancito a carico del datore di lavoro dall’art 2087 c.c.) e considerato che non esistono, allo stato, prescrizioni più rigorose e stringenti anche da parte degli enti deputati al controllo dell’adozione delle misure di sicurezza, deve escludersi la possibilità di ascrivere una qualche responsabilità colposa in capo al datore di lavoro per la malattia professionale (ipoacusia percettiva bilaterale) eventualmente contratta dal lavoratore.
Considerato, quindi, che la responsabilità ai sensi dell’art. 2087 c.c. presuppone, come ogni ipotesi di responsabilità contrattuale, il dolo o la colpa del datore di lavoro, deve in conclusione rigettarsi il ricorso in esame.
Le spese di lite possono essere integralmente compensate tra le parti, considerato che tanto le reali cause della patologia da cui è affetto il ricorrente, quanto gli eventuali profili di responsabilità datoriale, erano, comunque, suscettibili di una non critica valutazione da parte del lavoratore.
 

P.Q.M.


Definitivamente pronunciando, così provvede:
1. rigetta il ricorso;
2. compensa integralmente tra le parti le spese di lite.
Cassino, 4 maggio 2017

lunedì 15 aprile 2019

LE MIE SENTENZE

Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 21266 - pubb. 21/02/2019

Nessun obbligo di iscrizione per il mero procacciatore di clienti non vincolato alla compagnia assicurativa

Tribunale Cassino, 12 Novembre 2018. Est. Giuditta Di Cristinzi.

Previdenza obbligatoria – Attività di “produttore diretto” per compagnia assicurativa – Assenza di subordinazione – Obbligo di iscrizione alla Gestione Commercianti – Non sussiste


L’attività svolta come “produttore diretto” ovvero occasionale di compagnia assicurativa, operante unicamente come segnalatore di nominativi di persone interessate a sottoscrivere contratti di assicurazione, senza alcun vincolo di subordinazione con l’impresa, non fa sorgere l’obbligo di iscrizione alla Gestione Commercianti INPS. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)



REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI CASSINO
Sezione Lavoro

Il GOP, in funzione di Giudice del Lavoro presso il Tribunale di Cassino, dott. Giuditta Di Cristinzi, ha pronunciato la seguente

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato telematicamente in data XX.XX.2018, la sig.ra RR AA si rivolgeva al Tribunale di Cassino, in funzione di Giudice del Lavoro, proponendo ricorso avverso l’avviso di addebito n. 347 XXX XXX del 9.11.2017, notificato dall’INPS il 5.12.2017, con il quale le veniva intimato il pagamento dell’importo complessivo di €. 1.720,39 per contributi, sanzioni, morosità (e spese di notifica) relativamente al periodo 01/2010 al 12/2010. La ricorrente chiedeva, in via preliminare, la sospensione dell’esecutività dell’avviso con decreto da emettersi inaudita altera parte, ovvero, previa comparizione delle parti disposta anteriormente all’udienza di discussione. Nel merito, in via preliminare, dichiarare nullo e/o annullare e/o dichiarare inefficace e/o illegittimo l’avviso di addebito, per tardività della sua emissione e notifica; in via principale, dichiarare nullo e/o annullare e/o dichiarare inefficace e/o illegittimo l’avviso di addebito de quo. Il tutto con vittoria di spese e compensi professionali.
In sede di seconda udienza di discussione si costituiva in giudizio l’INPS, contestando la fondatezza del ricorso e chiedendone il rigetto.
All’udienza del 12 novembre 2018, udita la discussione delle parti, il Giudice decideva la causa come da dispositivo in calce, di cui dava lettura in aula.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso merita di essere accolto per i motivi in fatto ed in diritto che saranno di seguito illustrati.
In data 05.12.2017, l’Inps di Cassino notificava alla ricorrente avviso di addebito con il quale le intimava il pagamento dell’importo complessivo di € 1.720,39 relativamente al periodo da 01/2010 al 12/2010.
Preliminarmente, la ricorrente eccepiva la tardività dell’avviso di addebito opposto, perché notificato dopo il 31 dicembre successivo a quello in cui era stato notificato il verbale di accertamento e poneva all’attenzione del giudicante determinate osservazioni, in particolare sulla definizione di produttore diretto di agenzia.
Al riguardo, è doveroso fare delle considerazioni.
La sig.ra RR affermava di aver chiesto di poter collaborare con Alleanza Assicurazioni S.p.A. in qualità di Produttore Diretto, ai sensi del D. Lgs. n. 209/2005 e, secondo la terminologia aziendale, in qualità di “produttore libero”. La Compagnia accettava tale richiesta e con lettera la autorizzava solo ad operare come “segnalatore … di nominativi di persone interessate a sottoscrivere i contratti di assicurazione”, quale “produttore libero”, ossia “senza alcun vincolo di subordinazione” nonché “senza alcun obbligo di prestazione, legata ad un orario o itinerario o ad un risultato di produzione”. La stessa ricorrente, inoltre, affermava che era stato pattuito un compenso provvisionale sulle proposte di polizza segnalate, percepito direttamente dalla direzione generale della compagnia.
Successivamente, la ricorrente era stata iscritta, come previsto dall’art. 109 del d.lgs. n. 209/2005, nella sezione C) del R.U.I. (registro unico degli intermediari di assicurazione), riservato ai “produttori diretti che, anche in via sussidiaria rispetto all’attività svolta a titolo principale, esercitano l’intermediazione assicurativa nei rami vita e nei rami infortuni e malattia per conto e sotto la piena responsabilità di un’impresa di assicurazione e che operano senza obblighi di orario o di risultato esclusivamente per l’impresa medesima”.
L’Istituto iscriveva d’ufficio la ricorrente alla Gestione IVS degli esercenti attività commerciali, in osservanza del D.L. 269/2003 convertito in legge n. 326/2003, ritenendo l’attività di produttore libero, svolta dalla stessa dal 2007, come attività di produttore assicurativo di terzo e quarto gruppo, contemplata dagli artt. 4 e 5 del CCNL del 25.05.1939 in materia di agenzie e produttori di assicurazione.
In effetti, la Legge 326/2003, all’art. 44, comma 2, individua i soggetti tenuti all’iscrizione nella gestione commercianti, dal primo gennaio 2004, nei “produttori di 3° e 4° gruppo di cui agli artt. 5 e 6 del contratto collettivo per la disciplina dei rapporti fra agenti e produttori di assicurazione del 25.05.1939”. Tale contratto, comprende al 3° gruppo i produttori i quali hanno l’obbligo di lavorare esclusivamente per l’agenzia dalla quale hanno ricevuto lettera di nomina e per i rami dalla stessa esercitati, ed hanno anche l’obbligo di un determinato minimo di produzione e nel 4° gruppo “i produttori liberi di piazza o di zona, e cioè senza obbligo di un determinato minimo di produzione”.
Il problema dell’obbligo dell’iscrizione o meno dei produttori (di assicurazione) alla Gestione Commercianti Inps, sulla base dell’art. 44, comma 2, della L. 326/2003, è stato affrontato in più occasioni da diverse Corti territoriali.
Ma è stata la Cassazione che con la sentenza n. 2279/2018 (pubblicata in data 30.01.2018), ha dato la giusta interpretazione a tale norma.
La Cassazione, in un caso analogo a quello sottoposto alla nostra attenzione, ha infatti osservato che “la concreta indagine relativa ai caratteri delle attività rispettivamente proprie dei produttori del terzo o del quarto gruppo va condotta considerando che le medesime attività divengono significative, ai fini dell’obbligo all’iscrizione alla gestione commercio, solo se rese in favore di agenzie o sub agenzie”. Inoltre, “la distinzione tra produttori di agenzia e sub agenzia e produttori diretti è reale, derivando in concreto dalla diversità che la pratica imprenditoriale del settore degli intermediari del sistema assicurativo consente di apprezzare e che il codice delle assicurazioni, d. lgs. 2009/2005 di recepimento della direttiva U.E. 92/2002, ha posto sul piano dei diritto positivo nel titolo dedicato agli intermediari assicurativi”. A giudizio della Corte, quindi, “il produttore è normalmente considerato una specie del procacciatore d’affari che ha con l’impresa o l’intermediario preponente un rapporto meno vincolato sul piano operativo e giuridico rispetto a quello di chi è più intensamente integrato nella struttura organizzativa imprenditoriale di un agente”. Considerata questa differenza tra le due figure di produttori, la Corte ha ritenuto comprensibile e razionale la scelta del legislatore previdenziale del 2003 di istituire l’obbligo di iscrizione nella gestione commercianti solo per gli agenti o sub agenti.
In conclusione, la Corte accoglieva il ricorso avente ad oggetto solo l’accertamento negativo dell’obbligo di iscrizione nella gestione commercio, senza dover fare ulteriori accertamenti, e riconosceva l’insussistenza di tale obbligo.
Alla luce di quanto innanzi, considerata l’attività svolta dalla ricorrente come produttore diretto (ovvero occasionale) della compagnia assicurativa Alleanza Toro S.p.A. e, in precedenza di Alleanza Assicurazioni S.p.A., operante unicamente come “segnalatore di nominativi di persone interessate a sottoscrivere i contratti di assicurazione”, “senza alcun vincolo di subordinazione” e, in particolare, a seguito dell’interpretazione data dalla Cassazione all’art. 44 comma 2, della L. 326/2003 (afferente l’obbligo di iscrizione alla gestione commercianti INPS dei produttori di 3° e 4° gruppo di cui agli artt. 5 e 6 del CCNL del 25.05.1939) deve concludersi per l’accoglimento del ricorso.
La regolazione delle spese segue la soccombenza.

P.Q.M.
Il Tribunale di Cassino, in persona del Giudice del Lavoro avv. Giuditta Di Cristinzi, definitivamente pronunciando, così provvede:
1.      accertata l’insussistenza totale dell’obbligo della ricorrente di iscriversi e di versare contributi alla gestione degli esercenti attività commerciale presso l’Inps per difetto dei presupposti di legge, accoglie il ricorso e dichiara nullo l’avviso di addebito;
2.      condanna l’Inps resistente al pagamento delle spese di lite che si liquidano in complessivi €.800,00, oltre rimborso spese forfettario, IVA e CPA come per legge.
Cassino, 12 novembre 2018
Il GOP
Dott. Giuditta Di Cristinzi

domenica 14 aprile 2019

LE MIE SENTENZE

Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 21265 - pubb. 21/02/2019

L’assoggettamento al solo contributo integrativo alla Cassa Forense non comporta l’obbligo di iscrizione alla gestione separata INPS

Tribunale Cassino, 06 Dicembre 2018. Est. Giuditta Di Cristinzi.

Previdenza obbligatoria – Professionista iscritto ad albo professionale – Iscritto alla cassa autonoma di previdenza – Soggetto al solo contributo integrativo – Obbligo di iscrizione alla Gestione Separata INPS – Esclusione


I liberi professionisti iscritti ad albi sono assoggettati a tutela previdenziale a mezzo di forme autonome di previdenza obbligatoria, e solo nel caso in cui non sia possibile costituire tali forme autonome di previdenza i soggetti interessati devono ritenersi obbligati all’iscrizione alla gestione separata.
L’obbligo di iscrizione alla gestione separata opera solo nei casi in cui non sia possibile l’iscrizione alla Cassa autonoma, e non quando non sia prevista contribuzione, posto che deve ritenersi non operare nel nostro ordinamento un principio per cui ogni reddito deve essere assoggettato a contribuzione, ma piuttosto un altro, per il quale tutti devono avere una tutela previdenziale. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)



REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI CASSINO
Sezione Lavoro

Il GOP, in funzione di Giudice del Lavoro presso il Tribunale di Cassino, dott. avv. Giuditta Di Cristinzi, ha pronunciato la seguente

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato telematicamente in data 16.02.2018, l’avv. SS AA si rivolgeva al Tribunale di Cassino, in funzione di Giudice del Lavoro, esponendo di aver ricevuto in data 9.1.2018 avviso di addebito n. XXXX, con il quale l’INPS di Latina gli intimava il pagamento della somma complessiva di € 2.874,13; che tale pretesa sarebbe stata avanzata a seguito di una verifica effettuata dall’Istituto e sarebbe derivata dal reddito da lavoro autonomo derivante dall’esercizio abituale di arti e professioni, dichiarato per il 2010 e non assoggettato, a detta dell’Ente impositore, a contribuzione obbligatoria in favore di altri Enti o Casse professionali; di essere un avvocato iscritto all’Ordine Forense di Cassino e, per l’anno oggetto di contestazione, di essere stato iscritto all’Albo degli Avvocati di Latina; di aver versato alla Cassa previdenziale, per il periodo di riferimento (2010), la dovuta contribuzione, in ossequio alle disposizioni normative e regolamentari della Cassa Previdenziale Forense; che il credito vantato dall’INPS fosse prescritto; di aver eccepito, con ricorso amministrativo depositato il 02.08.2016, al competente Comitato dell’INPS di Latina, la illegittimità di tale provvedimento.
Tanto premesso, chiedeva, in via principale, previa sospensione dell’efficacia del provvedimento impugnato, accertare e dichiarare di non essere tenuto, per l’anno 2010, all’iscrizione alla Gestione Separata dell’INPS di Latina e per l’effetto dichiarare non essere tenuto a versare la somma complessiva di € 2.874,13 indicata nell’avviso di addebito; in via subordinata, disporre l’annullamento dell’avviso di addebito, disporre la cancellazione d’ufficio dalla gestione separata Inps dal 01.01.2010, dichiarare la non debenza delle somme pretese dall’INPS per l’anno 2010; in via ulteriormente subordinata dichiarare ed accertare l’avvenuta prescrizione delle pretese creditorie dell’Inps di Latina. Con vittoria di spese , diritti ed onorari del presente procedimento.
Si costituiva l’ INPS, contestando la fondatezza del ricorso e chiedendone, pertanto, il rigetto.
Alla prima udienza il Giudice sospendeva l’esecutività dell’atto impugnato e concedeva termine per note.
All’udienza del 6 dicembre 2018, udita la discussione delle parti, la causa veniva decisa come da dispositivo in calce, di cui dava lettura in aula.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso merita di essere accolto per i motivi in fatto ed in diritto che saranno di seguito illustrati.
Il sig. SS, avvocato iscritto all’Ordine Forense di Cassino, proponeva ricorso avverso l’iscrizione d’ufficio alla Gestione Separata INPS con decorrenza dal 01.01.2010 e alla richiesta di pagamento di € 2.874,13.
Il ricorrente deduceva l’insussistenza dei presupposti per l’iscrizione d’ufficio e la richiesta di pagamento dei contributi alla gestione separata, di cui all’art. 2, comma 26, L. 335/95, sul presupposto di essere già iscritto ad una Cassa di previdenza.
Per quanto riguarda la legittimità dell’iscrizione alla Gestione Separata di cui all’art. 2, comma 26, della L. 335/95, deve rilevarsi quanto segue.
La Gestione Separata INPS, è stata istituita dall’art. 2, comma 26, della L. 335/95, per “i soggetti che esercitano per professione abituale, ancorché non esclusiva, attività di lavoro autonomo (…)”.
Con il successivo D.L. 98/2011, conv. in L. 111/2011, all’art. 18, comma 12, il legislatore ha introdotto una norma di interpretazione autentica precisando che tale disposizione “si interpreta nel senso che i soggetti che esercitano per professione abituale, ancorché non esclusiva, attività di lavoro autonomo tenuti all’iscrizione presso l’apposita Gestione Separata INPS sono esclusivamente i soggetti che svolgono attività il cui esercizio non sia subordinato all’iscrizione ad appositi albi professionali, ovvero attività non soggette al versamento contributivo agli enti di cui al comma 11, in base ai rispettivi statuti e ordinamenti, con esclusione dei soggetti di cui al comma 11”.
Nel caso che ci riguarda, l’avv. SS, nell’anno di riferimento posto alla base dell’avviso di addebito Inps (2010), risultava regolarmente iscritto all’Albo degli Avvocati di Latina; oltre a ciò, produceva ricevuta attestante il versamento del contributivo integrativo ed il prospetto della propria posizione previdenziale presso la Cassa Forense.
Di conseguenza, il ricorrente è escluso dall’obbligo di iscrizione alla Gestione Separata in virtù di entrambe le proposizioni della norma di interpretazione autentica: sia perché egli non svolge attività “il cui esercizio non sia subordinato all’iscrizione ad appositi albi professionali” (al contrario: per svolgere l’attività di avvocato è obbligatorio essere iscritti all’apposito Albo, e l’avv. SS è ovviamente iscritto all’Albo degli Avvocati), sia perché non svolge una attività “non soggetta al versamento contributivo agli enti di cui al comma 11, in base ai rispettivi statuti e ordinamenti” (perché, in base all’ordinamento della Cassa Nazionale Forense, egli è tenuto al versamento del contributo soggettivo, commisurato al volume d’affari) e non rientra tra i “soggetti di cui al comma 11” (soggetti già pensionati, iscritti alle Casse previdenziali private).
Tale interpretazione è coerente con il disposto dell’art. 21, comma 10, L. 247/2012 (certamente non applicabile alla fattispecie, ratione temporis, ma utilizzabile come riscontro di coerenza della tesi accolta con la disciplina della professione forense), secondo cui “non è ammessa l’iscrizione ad alcuna altra forma di previdenza se non su base volontaria e non alternativa alla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense”; l’INPS, che vorrebbe l’avvocato con basso reddito assoggettato al versamento sia del contributo integrativo alla Cassa Forense sia dei contributi previdenziali alla Gestione Separata, si pone frontalmente in contrasto con tale disposizione.
Non rileva, infine, l’art. 6 del D.M. 281/1996 (Regolamento recante modalità e termini per il versamento del contributo alla Gestione Separata), che si limita a prevedere che “non sono soggetti alla contribuzione di cui al presente decreto i redditi già assoggettati ad altro titolo a contribuzione previdenziale obbligatoria”, che intende semplicemente evitare doppie contribuzioni sugli stessi redditi.
Peraltro l’impostazione sistematica desumibile dal testo della normativa pertinente (co. 25/26 dell’art. 2 L. n.335/1995) porta a ritenere che i liberi professionisti iscritti ad albi sono assoggettati a tutela previdenziale a mezzo di forme autonome di previdenza obbligatoria e che solo nel caso in cui non sia possibile costituire tali forme autonome di previdenza, i soggetti interessati devono ritenersi obbligati all’iscrizione alla gestione separata.
Posto che le casse autonome di previdenza devono dotarsi di “meccanismi di finanziamento idonei a garantire l’equilibrio gestionale” (lett. c del co. 25 cit.), ad esse deve intendersi rimesso in linea di principio e comunque, nel rispetto della finalità suddetta, la scelta di determinare il quantum e lo stesso an, in casi particolari, della contribuzione, individuando – nell’esercizio della più ampia autonomia regolamentare nel quadro delle richiamate finalità – ipotesi in cui il prelievo contributivo o non è ritenuto necessario al fine di garantire il richiamato equilibrio gestionale, o può essere soddisfatto entri limiti quantitativi predeterminati (contributo integrativo o di solidarietà), non ravvisandosi in queste particolari alcun legittimo intervento dell’INPS che iscriva il percettore di reddito alla gestione separata, richiedendo la contribuzione che la di lui cassa autonoma non richiede.
L’obbligo di iscrizione alla gestione separata opera ad avviso di questo Giudice solo nei casi in cui non sia possibile l’iscrizione alla Cassa autonoma, e non quando non sia prevista contribuzione, posto che deve ritenersi non operare nel nostro ordinamento un principio per cui ogni reddito deve essere assoggettato a contribuzione, ma piuttosto un altro, per il quale tutti devono avere una tutela previdenziale (come nel caso del ricorrente in effetti avviene).
Tale assetto normativo è rimasto invariato anche dopo la recente pronuncia di legittimità: con la sentenza n. 30345 del 18.12.2017 è stata invero espressamente affermata la legittimità dell’assoggettamento alla gestione separata INPS dei redditi da attività professionale prodotti da soggetti iscritti, per legge, alla propria cassa previdenziale di appartenenza, per i casi in cui tali soggetti esercitassero contemporaneamente anche una attività di lavoro subordinato, affermando quindi un principio non sovrapponibile alle peculiari caratteristiche della fattispecie in esame.
Nel caso che ci riguarda, il ricorrente provvedeva a compilare ed inoltrare il MOD. 5 (mediante il quale si comunica alla Cassa il reddito professionale ed il volume d’affari percepito durante l’anno precedente e, sulla base di questo, si effettuano i relativi pagamenti professionali) e a corrispondere, per l’anno 2010, il contributo obbligatorio. A tal fine, produceva copia del Modello Unico 2010, nonché copia del Mod. 5 del 2011 (relativo all’anno fiscale 2010) e bollettino attestante il versamento del contributivo integrativo ed il prospetto della propria posizione previdenziale presso la Cassa Forense.
Alla luce di quanto innanzi, si ritiene il ricorso meritevole di accoglimento.
La regolazione delle spese segue la soccombenza.
P.Q.M.
Il Tribunale di Cassino, in persona del Giudice del Lavoro, dott. avv. Giuditta Di Cristinzi, definitivamente pronunciando, così provvede:
- accoglie la domanda e, per l’effetto, dichiara non dovuta l’iscrizione alla Gestione Separata dell’I INPS di Latina per l’anno 2010;
- annulla l’avviso di addebito n.. XXX e, per l’effetto, dichiara non dovute le somme pretese dall’ INPS di cui a tale avviso;
- dispone la cancellazione d’ufficio del sig. SS dalla gestione separata INPS dal 01.01.2010;
- condanna parte resistente al pagamento delle spese di lite liquidate in €. 800,00, oltre rimborso spese forfettario, IVA e CPA come per legge.
Cassino, 6 dicembre 2018
Il GOP
Dott. avv. Giuditta Di Cristinzi

sabato 13 aprile 2019

LE MIE SENTENZE

Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 21062 - pubb. 12/01/2019

Lo svolgimento di attività presso il datore di lavoro e secondo le sue direttive prova il rapporto di lavoro subordinato

Tribunale Cassino, 22 Ottobre 2018. G.O.P. Giuditta Di Cristinzi.

Lavoro – Prova del rapporto di lavoro subordinato – Svolgimento di attività presso il datore di lavoro – Direttive direttamente impartite dal datore di lavoro – Valore probatorio – Affermazione


Costituiscono indicazioni idonee a suffragare l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato lo svolgimento di un’attività lavorativa presso la sede del datore di lavoro nonché la circostanza che le direttive afferenti lo svolgimento dell’attività vengano impartite direttamente dal datore di lavoro. [Nella fattispecie, i testimoni confermavano lo svolgimento di attività di segreteria presso l’ufficio della società resistente, dove la ricorrente aveva una postazione con scrivania e computer, e che la stessa riceveva le direttive che venivano impartite dal titolare della società.] (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)



REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI CASSINO
Sezione Lavoro
omissis
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato in data 21.01.2014, la ricorrente si rivolgeva al Tribunale di Cassino, in funzione di Giudice del Lavoro esponendo di aver lavorato alle dipendenze della ditta individuale XX di CCC LLL (società operante nel settore dell’edilizia) con sede legale in SS alla via CC 58/A, dal giorno 8.11.2011 sino al 06.06.2013; che tale rapporto non veniva regolarizzato; che era stata assunta, come lavoratrice subordinata, per lo svolgimento delle mansioni di impiegata di tipo meramente amministrativo, presso la sede operativa della società in BB EE (FR); che la prestazione lavorativa veniva resa dal lunedì al venerdì di ogni settimana dalle ore 08,30 alle 13,00 e dalle ore 15,00 alle ore 19,00, il tutto per un totale di oltre 40 ore settimanali anzi precisamente 42,5; che aveva svolto in maniera prevalente attività di segreteria; che le direttive in merito alle prestazioni lavorative venivano impartite dal sig. CCC LLL, il quale esercitava il potere disciplinare ed erogava la retribuzione a mani dei lavoratori, presso i locali della sede detta; che il compenso netto mensile era pari ad € 1.100,00 e veniva erogato all’inizio del mese successivo a quello di competenza; che tale somma era stata erogata per i mesi di novembre e dicembre 2011, nonchè per i mesi da gennaio a settembre 2012; che nessuna altra somma le era stata corrisposta; che aveva continuato a lavorare sino al 06.06.2013, data in cui rassegnava le dimissioni, oralmente e per giusta causa, in ragione del mancato pagamento delle retribuzioni maturate; che non aveva goduto di ferie; che il CCNL applicabile al rapporto di lavoro con la società era il contratto collettivo nazionale di lavoro per i dipendenti delle imprese edili e affini; che, in ragione delle mansioni svolte, doveva essere inquadrata come lavoratrice subordinata, con livello retributivo IV° categoria impiegata di 2° livello; di essere rimasta creditrice di differenze retributive per i mesi da novembre 2011 a settembre 2012 e dell’intera retribuzione da settembre 2012 alla data del recesso, a eccezione di maggio 2012 per cui aveva percepito l’importo di € 1.100,00 oltre a TFR, 13° mensilità per gli anni 2011, 2012 e 2013, indennità di mancato pagamento delle ferie maturate e non godute e lavoro straordinario per il complessivo importo di € 34.620,53; che, con nota a/r del 02.08.2013, formalmente impugnava ex art. 32 L. n. 183/10, la mancata regolarizzazione del rapporto di lavoro alle dipendenze della società, dal novembre 2011 alla data di dimissioni per giusta causa del 07.06.2013; che, in data XX.08.2013, il sig. CCC procedeva alla cancellazione della ditta dal registro delle imprese; che, con nota del 27.11.2013 sottoscritta dal datore di lavoro, la ditta datrice riscontrava l’impugnativa stragiudiziale riconoscendo l’esistenza di un rapporto di lavoro tra le parti; che veniva proposta istanza alla Direzione Provinciale del Lavoro per l’espletamento del tentativo di conciliazione monocratica ex art. 11, comma 1, D. Lgs n. 124/2004.
Tanto premesso, chiedeva accertarsi e dichiararsi l’instaurazione, tra le parti, di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato sin dal 7.11.2011 con diritto ad essere inquadrata nel 2° livello del CCNL di settore; per l’effetto, condannare parte resistente al pagamento delle retribuzioni dovute, da quantificarsi nella misura di € 34.620,53 o in quella maggiore o minore accertata in corso di causa con interessi e rivalutazione come per legge ex art. 249 c.p.c., oltre alla indennità di mancato preavviso da quantificarsi in una settimana della retribuzione spettante ai sensi dell’art. 32 del CCNL; condannare il resistente alla regolarizzazione della posizione contributiva mediante il versamento dei corrispondenti contributi INPS.
Non si costituiva in giudizio il convenuto.
Alla prima udienza il Giudice, rilevata la regolarità della notifica, ne dichiarava la contumacia.
All’esito dell’esame dei testi addotti da parte ricorrente, all’udienza del 22.10.2018, il Giudice udite le conclusioni delle parti, decideva come da dispositivo in calce, di cui dava lettura in aula.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso merita di essere accolto per i seguenti motivi.
Tutti i testi di parte ricorrente hanno fornito indicazioni idonee a suffragare l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra la ricorrente e il sig. CCC, titolare di una ditta operante nel campo dell’edilizia per l’esecuzione di lavori di muratura varia.
Tutti i testi hanno altresì confermato lo svolgimento di un’attività lavorativa della ricorrente (prevalentemente di segretaria) presso l’ufficio della società a BB EE, dove la stessa aveva una postazione con scrivania e computer, nonché la circostanza che le direttive afferenti lo svolgimento dell’attività lavorativa venivano impartite direttamente dal sig. CCC.
Il teste MM RR, a conoscenza dei fatti di causa per aver collaborato con CCC, affermava di vedere la sig.ra RRR, sua “impiegata di riferimento, sia di mattina che di pomeriggio”. Confermava inoltre che la stessa “si occupava di tutte le attività” (di cui al capitolo di prova) e riceveva “le direttive che venivano impartite da CCC CCC.”
Dello stesso tenore la testimonianza dei sigg.ri PP GG, RR MM e ZZ FF, i quali confermavano il lavoro svolto dalla ricorrente, “presso l’ufficio di BB EE, dove aveva una postazione fissa” (con ufficio, scrivania, armadio e computer, perché lavorava sia la mattina che il pomeriggio). L’ultimo teste, in particolare, affermava che la vedeva “quando andava a ritirare lo stipendio o quando c’erano problemi ed era necessario andare in ufficio per risolverli parlando con CC o con la ricorrente. (…)”. Inoltre, è emerso che “la ricorrente si occupava dell’aspetto operativo facendo il necessario per risolvere il problema, (…) si occupava di pratiche amministrative, rispondeva al telefono e comunque trattava i documenti dell’attività societaria. Il CC dava indicazioni sull’attività da svolgere.”
Dello stesso tenore la testimonianza resa dal sig. FF DD, a conoscenza dei fatti di causa per aver lavorato per la ditta CC XX con un contratto orale, il quale affermava di vedere tutte le mattine la ricorrente che andava al lavoro alle 8.15 circa. Confermava che “la ricorrente svolgeva mansioni di segretaria, preparava gare d’appalto (…) e lavorava tutti i giorni dalle ore 8 alle 13 e dalle 14.30 alle 18. Dal lunedì al venerdì. CCC dava direttive alla ricorrente.”
Dunque, dalle risultanze istruttorie, senza ombra di dubbio, appariva chiara l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra la ricorrente (con mansioni di segretaria, addetta alla predisposizione di fascicoli e documenti necessari per lo svolgimento dell’attività della società) e il sig. CC, già titolare della ditta individuale XX, cancellata dal registro delle imprese in data XX.08.2013 per “cessazione di ogni attività”.
Oltre a ciò, con nota del 27.11.2013, la società XX di CCC LLL LLL si mostrava disponibile per tutto quanto riguardasse le “lamentele inerenti la mancata regolarizzazione e altro” confidando in una risoluzione favorevole. Dunque, riconosceva l’esistenza di un rapporto di lavoro, non regolarizzato, .
La ricorrente, in ogni caso, riusciva a provare in corso di causa gli assunti di cui al ricorso, quindi, la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato e lo svolgimento di mansioni tali da poterla inquadrare nel profilo professionale di impiegata di 2° livello 4° categoria del CCNL del settore dei dipendenti delle imprese edili e affini.
Si ritiene, in conclusione, che alla sig.ra RRR RRR debba essere corrisposto da parte del sig. CCC, la complessiva somma di € 34.620,53, risultante dal conteggio allegato al ricorso, conteggio ritenuto esatto, non contestato dal resistente, non comparso a deferire interrogatorio formale e rimasto contumace. Rilevante in tal senso il contegno processuale della parte ai sensi dell’art, 116 cpc da cui pure si desumono ulteriori argomenti di prova.
In virtù dell’accoglimento della domanda, le spese vengono regolate come in dispositivo, secondo il principio di soccombenza ex art. 91 cpc.

P.Q.M.
Definitivamente pronunciando, così provvede:
- in accoglimento del presente ricorso, accerta e dichiara che tra le parti è intercorso un rapporto di lavoro subordinato, dal 7.11.2011 al 06.06.2013;
- per l’effetto, condanna parte resistente al pagamento in favore della sig.ra RRR RRR della somma di € 34.620,53 a titolo di differenze retributive, oltre interessi e rivalutazione come per legge ex art. 429 c.p.c.;
- condanna la resistente al pagamento delle spese di lite, liquidate in € 1.500,00, oltre IVA, CAP e rimborso spese forfettario come per legge.
Cassino, 22 ottobre 2018
Il GOP
Dott. Giuditta Di Cristinzi

 La scelta del partner o, meglio, la persona di cui ci innamoriamo ci definisce. In qualche modo rappresenta la nostra ombra, il nostro lato...