Gallina
vecchia fa buon brodo.
Il
lupo perde il pelo, ma non il vizio (le cattive abitudini tardano a morire).
Tale
è il gregge qual chi lo regge.
Ch
tanta uall, ‘n z fa mai juorn
(in dialetto venafrano
vuol dire con tanti galli –a cantare- non
fa mai giorno. Morale: quando sono troppi a comandare è difficile arrivare
ad una conclusione).
Chi
va a caccia senza cane, torna a casa senza lepre.
Il
gregge unito costringe il lupo al digiuno (l’unione fa la forza).
Chi
è stato morso dalla vipera teme anche la lucertola.
Campa
cavallo che l’erba cresce.
Chi acchiappa’ l pesc z’ mponne la cora (in dialetto venafrano vuol dire chi
prende i pesci si bagna la coda, cioè stando a contatto con l’acqua si
rischia di bagnarsi. E’ l’equivalente di chi
va al mulino si infarina. Ovvero alcune cose sono diretta conseguenza di
altre).
La
gatta frettolosa fece i figli ciechi.
Chi
ama il proprio cane deve amarne anche le pulci.
Z
r’spetta i cuan p’ i puadron (in dialetto
venafrano significa si rispetta il cane
per il padrone. Cioè spesso bisogna sopportare una
persona, nostro malgrado, per rispetto nei confronti di un'altra. Questo
proverbio, come molti altri, ha il suo
corrispettivo in altri dialetti del sud
Italia, ad esempio Si
rispetta u cani pa facci du patruni si dice in Calabria e Rispettà 'o cane p' 'o patrone in
Campania).
Nell’olio, nel vino o nel mare il
pesce vuol sempre nuotare.
L’uccello
in gabbia, se non canta per amore, canta per rabbia.
I ciucc che nn cresc è semp p’l’triegl (in dialetto venafrano significa
che l’asino che non cresce sembra sempre
un puledrino. Le persone piccole di statura sembrano sempre giovani).
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