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venerdì 28 novembre 2014

I MIEI RACCONTI

ALLE ARMI

di

GIUDITTA DI CRISTINZI

Avremmo dovuto aspettare ancora  un bel po’. Tutto il tempo del disgelo, mi dissi. Mi svegliai molto  presto. Dalle barre degli infissi vidi il panorama imbiancato. Durante la notte aveva nevicato. I rami dei larici e dell'abete vicino all'ingresso erano piegati dal peso bianco della neve. Dunque, avremmo dovuto aspettare ancora  un bel po’, mi dissi. Tutto il tempo del disgelo. La cosa mi faceva rabbia, ma dovevo stare tranquillo e guardare solo l'aspetto positivo. Del resto cosa avrebbe potuto accadere in meno di tre mesi?  Potevano guadagnare altre posizioni, forse. Ma no. In realtà, il freddo, il gelo, avevano lo stesso peso per noi e per loro. Io avrei avuto più tempo per l'addestramento e la preparazione dell'attacco a sorpresa. Il mio battaglione di civili, impreparati e disperati, faticava a metabolizzare l'ordine e la disciplina. Talvolta, vi erano episodi di insubordinazione. Ma nella vecchia casamatta nascosta nel bosco, ero io a comandare, questo era certo.  Avevo ripreso in pieno lo scettro del comando. Al mattino obbligavo il plotone H ad un paio d'ore di ferreo allenamento del parco.
Mentre ero immerso nelle mie riflessioni e mi accingevo a fare un po' di lavoro di strategia a tavolino con le carte, prima del risveglio di tutta la truppa, qualcuno bussò con energia alla porta.
- Chi è?- tuonai infastidito - avanti!
Sentii l’uscio scattare ed entrò il dottor Bosi, facendo capolino tra lo stipite e la porta.
- Buongiorno, colonnello. Come va oggi? Cosa fa? -
- Riposo, comandante, riposo.
- Bene.
- Ha nevicato. L'inverno sferra il suo primo attacco, minaccia di chiuderci in una morsa come e più dei serbi. Ma noi useremo questo tempo per l'addestramento.
- Certo, colonnello. Lei sa cosa fare.
- Può ben dirlo. Da quando il generale si è lasciato, il mese scorso, tutte le responsabilità di dirigere le operazioni grava su di me, che però ho  le spalle larghe. E lei cosa vuole a quest'ora?
- Visitarla e  provvedere alla terapia. Non trascuri se stesso.
- Certo, non lo farò. Non tanto per me, quanto per la mia gente. Dopo la battaglia di Vukovar, la cattura e le botte prese in testa, ho dolori lancinanti. Qui, alle tempie.
- Faccia vedere, si distenda sul letto. Intanto le prendo la pressione.
- Si sbrighi dottore. Dopo la colazione ordinerò e dirigerò io stesso due ore  buone di addestramento sulla neve. Il freddo ci temprerà.
- Sì, ma ci vada piano. Non è alle prese con dei professionisti.
- Lo so bene. A volte il plotone si sfalda. Questi civili non sanno cos'è la disciplina. Li punirei, alcuni dovrebbero andare ferri, ma lei è troppo indulgente.
- Sissignore. Ora ascolti. Devo cambiarle alla terapia. Prenderà solo tre pasticche al giorno. Il Depakon  mattino a sera e l’Eustat  dopopranzo. Chiaro? Vedrà, l'aiuteranno con i dolori alla testa.
- So sopportare, diavolo se so sopportare.

- Non lo fa per sé, signore, ma per il suo popolo, per la patria. Prenda questa, la prenda ora, subito, davanti a me.
...

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