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venerdì 4 settembre 2020

TRAGEDIA GRECA




Ieri sera, invitata dalla assessora alla Cultura del comune di Minturno Scauri, professoressa Mimma Nuzzo,

che lavora alacremente alla diffusione del sapere in città, organizzando numerosi eventi letterari, teatrali, artistici in genere, ho assistito con piacere e viva partecipazione alla rappresentazione teatrale della tragedia di Euripide LE TROIANE, rivisitata da una compagnia tutta al  femminile, LA GABBIANELLA club,




(

Trasposizione in lingua napoletana da Troiane di Euripide. Regia di Iole Schioppi, con Iole Schioppi, Agnese Laurenza, Caterina Giugno, Roberta Capuano, Josepha Pangia. La guerra 

di Troia raccontata dalle vittime finali ed incolpevoli della tragedia. Tutte incolpevoli ad eccezione di una: Elena, la spartana, verso la quale le troiane, ora vedove e bottino di guerra degli achei, puntano l’indice accusatore. Ma è davvero lei la colpevole di tanta sciagura? O piuttosto è anch’ella vittima tra le vittime, condotta al suo destino dalla propria bellezza e dai contorti disegni degli dèi?

Lo spazio scenico è una piazza ed il pubblico è invitato ad assistere ad un processo, quello di Elena.

La voce narrante è fil rouge della storia di quattro nobili donne, uniche sopravvissute alla guerra di Troia, connesse da un comune destino: la schiavitù. Fonte Piazzettadurante.it).





rinominata LE TROIANE, FIGLIE DI UN DIO MINORE? e trasposta in dialetto, rectius, lingua napoletana, una lingua sapientemente recitata e declinata con le sue note grammaticali e sintattiche, affascinante, coinvolgente, espressiva, talvolta intraducibile. 


Il lavoro è stato introdotto dalla professoressa Scognamiglio dell'Università degli Studi FEDERICO II di Napoli, ove si è formata JOLANDA SCHIOPPI, autrice, regista e attrice dell'opera.

La rappresentazione è stata relativamente breve, in unico atto, con musiche di sottofondo dal vivo. 

La tragedia, nella sua versione originale del V secolo a. C. (longeva la ragazza!), è  una delle opere minori del grandissimo tragediografo greco EURIPIDE, famoso per Medea, Ifigenia, Oreste, Le Baccanti, 

(Le troiane, o Le troadi (in greco antico: Τρώαδες), è una tragedia di Euripide, rappresentata per la prima volta nel 415 a.C., durante la guerra del Peloponneso. Tra le tragedie greche è considerata la meno "teatrale", la più statica.L'opera ebbe il secondo premio alle Grandi Dionisie ateniesi del 415 a.C., vinte dal quasi sconosciuto SenocleLa città di Troia, dopo una lunga guerra, è infine caduta. Gli uomini troiani sono stati uccisi, mentre le donne devono essere assegnate come schiave ai vincitori. Cassandra viene data ad Agamennone, Andromaca a Neottolemo ed Ecuba ad Odisseo. Cassandra predice le disgrazie che attenderanno lei stessa e il suo nuovo padrone una volta tornati in Grecia, ed il lungo viaggio che Odisseo dovrà subire prima di rivedere Itaca. Andromaca subisce una sorte terribile, poiché i Greci decidono di far precipitare dalle mura di Troia Astianatte, il figlio che la donna aveva avuto da Ettore, per evitare che un giorno il bambino possa vendicare il padre e porre fine alla stirpe achea. Successivamente Ecuba ed Elena si sfidano in una sorta di agone giudiziario, per stabilire le responsabilità dello scoppio della guerra. Elena si difende ricordando il giudizio di Paride e l'intervento di Afrodite, ma Ecuba svela infine la colpevole responsabilità della donna, fuggita con Paride perché attratta dal lusso e dall'adulterio. Infine, il cadavere di Astianatte viene riconsegnato ad Ecuba per il rito funebre, Troia viene data alle fiamme, e le prigioniere vengono portate via mentre salutano per l'ultima volta la loro città. Fonte WIKIPEDIA) ed è stata presa come spunto e calco per una serie di riflessioni, sulla guerra, sulla dignità umana, sulla condizione delle donne e di chi, in genere, è  costretto a subire azioni e torti dai potenti della terra, quasi come se alcuni fossero figli di un Dio minore (e questa lettura mi riporta al mio recente post SONO FEMMINISTA? Per inciso, no, non lo sono ma detesto le discriminazioni, condanno quell'ottuso pensiero maschilista che postula una "inferiorità" della donna, convinta come sono della parità ontologica di tutti i rappresentanti del genere umano). 

Ebbene, la rappresentazione, molto suggestiva, nella corte del castello baronale di Minturno,


nel cuore del centro storico, è iniziato con un monologo della bella Elena di Troia, in sfolgorante abito rosso, a simboleggiare la sua abbagliante bellezza, causa di tutto, presto ridotta in nero luttuoso. E' seguito il coro, costituito da tre donne (nell'antica Grecia era di 12 elementi), che camminavano, si muovevano e recitavano all'unisono.  Poi è stata la volta dell'invettiva della regina Ecuba contro gli dei, una Ecuba non solo detronizzata, vedova e "orfana" (non esiste termine a indicare il dolore massimo) dei figli, ma ridotta in schiavitù al servizio niente meno che di Odisseo, quell'Ulisse artefice dell'inganno che ha vinto Troia dopo 10 anni di guerra; grande e poderosa la recitazione, vibrante, passionale, fisica, con espressioni del viso delle attrici che traducevano prima delle parole, lo sprezzo, il dolore, la disperazione; dopo la mamma, è stata la volta di Cassandra, la figlia veggente, mai ascoltata, presa da un raptus che sapeva di esaltazione e quasi di follia; infine la mite ANDROMACA, cui hanno ucciso non solo il valoroso marito, ma anche l'innocente figlioletto, scaraventato dalla rupe, per timore che, una volta cresciuto potesse vendicare la patria e il padre. Insieme, le tre troiane sconfitte, vestite a lutto, si scagliano contro la bella Elena in veste scarlatta gridandole più e più volte "spartana, spartana, sei solo una puttana", con espressioni truci, torve di rabbia e livore, con volti prostrati  e capigliature disfatte (essendo una riccia indisciplinata anch'io, vorrei chiedere ad ECUBA, ma come fai a pettinarti?). Elena cerca invano di difendersi: non è stata colpa sua, ma della bellezza, dell'amore, degli dei, di Afrodite, della scommessa, ...




Alla fine una corale riflessione sulla negatività della guerra e su ogni genere di sopraffazione che leda la dignità dell'essere umano. 

Recitazione magistrale, in napoletano stretto, ottimi i testi, per contenuti e forma, musicali, ritmici, spesso inframmezzati di rime, come è muort chi nun ten sciort, muort senza avè tuort.

Insomma pregevole lavoro e bella serata che ho terminato in dolce compagnia di Ale Dal Console per un drink.










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