ALLE ARMI
di
GIUDITTA DI CRISTINZI
Mi svegliai
molto presto. Aprii la finestra e tra le
barre degli infissi vidi il panorama imbiancato. Durante la notte aveva
nevicato copiosamente. I rami dei larici e dell'abete vicino all'ingresso erano
piegati dal peso soffice bianco della neve. Dunque, avremmo dovuto aspettare
ancora un bel po’, mi dissi. Tutto il
tempo del disgelo. La cosa mi faceva rabbia, ma dovevo stare tranquillo e
guardare solo l'aspetto positivo. Del resto cosa avrebbe potuto accadere in
meno di tre mesi? Potevano guadagnare
altre posizioni, forse. Ma no. In realtà, il freddo, il gelo, avevano lo stesso
peso per noi e per loro. Io avrei avuto più tempo per l'addestramento e la
preparazione dell'attacco a sorpresa. Il mio battaglione di civili, impreparati
e disperati, faticava a metabolizzare l'ordine e la disciplina. Talvolta, vi
erano episodi di insubordinazione. Ma nella vecchia casamatta nascosta nel
bosco, ero io a comandare, questo era certo.
Avevo ripreso in pieno lo scettro del comando. Al mattino obbligavo il plotone
H ad un paio d'ore di ferreo allenamento del parco.
Mentre ero
immerso nelle mie riflessioni e mi accingevo a fare un po' di lavoro di
strategia a tavolino con le carte, prima del risveglio di tutta la truppa, qualcuno
bussò con energia alla porta.
- Chi è?- tuonai infastidito - avanti!
Sentii l’uscio scattare ed entrò
il dottor Bosi, facendo capolino tra lo stipite e la porta.
- Buongiorno, colonnello. Come va
oggi? Cosa fa? -
- Riposo, comandante, riposo.
- Bene.
- Ha nevicato. L'inverno sferra
il suo primo attacco, minaccia di chiuderci in una morsa come e più dei serbi.
Ma noi useremo questo tempo per l'addestramento.
- Certo, colonnello. Lei sa cosa
fare.
- Può ben dirlo. Da quando il
generale si è lasciato, il mese scorso, tutte le responsabilità di dirigere le
operazioni grava su di me, che però ho le spalle larghe. E lei cosa vuole a quest'ora?
- Visitarla e provvedere alla terapia. Non trascuri se
stesso.
- Certo, non lo farò. Non tanto
per me, quanto per la mia gente. Dopo la battaglia di Vukovar, la cattura e le
botte prese in testa, ho dolori lancinanti. Qui, alle tempie.
- Faccia vedere, si distenda sul
letto. Intanto le prendo la pressione.
- Si sbrighi dottore. Dopo la
colazione ordinerò e dirigerò io stesso due ore
buone di addestramento sulla neve. Il freddo ci temprerà.
- Sì, ma ci vada piano. Non è
alle prese con dei professionisti.
- Lo so bene. A volte il plotone
si sfalda. Questi civili non sanno cos'è la disciplina. Li punirei, alcuni
dovrebbero andare ferri, ma lei è troppo indulgente.
- Sissignore. Ora ascolti. Devo
cambiarle alla terapia. Prenderà solo tre pasticche al giorno. Il Depakon mattino a sera e l’Eustat dopopranzo. Chiaro? Vedrà, l'aiuteranno con i
dolori alla testa.
- So sopportare, diavolo se so sopportare.
- Non lo fa per sé, signore, ma
per il suo popolo, per la patria. Prenda questa, la prenda ora, subito, davanti
a me.
Finalmente il
comandante medico Bosi mi lasciò solo. Raccolsi le idee e feci una prima bozza
dell'itinerario da seguire. Poi mi preparai, misi il cappello e mi avviai verso
il refettorio. Avevo l'abitudine di fermarmi sull'uscio ed attendere che, ad uno ad uno,
i coscritti entrassero e prendessero posto ai tavolacci per fare la
colazione. Quando erano entrati tutti, controllavo di persona che ognuno avesse
il necessario. Dovevano nutrirsi per bene, per quanto possibile, tenersi in forze. Appena fatta la colazione,
al ritmo della marcia trionfale dell'Aida, li rifacevo allineare e procedere
verso l'esterno. Vassilji Dinieski, il mio secondo, si occupava degli uomini
più grandi; io, naturalmente, dei più giovani e prestanti.
-
Attenti-a – urlavo con tono avvertito - Forza rammolliti, dieci giri
di corsa attorno la casa. Poi tutti qui. Devo parlarvi.
Sentivo tutta
la responsabilità del comando e della missione da compiere. L'istruzione
l'addestramento dovevano essere perfetti.
La campana
suonò l'adunata. Mi riebbi da un attimo di stordimento. Dal momento della
cattura, non vi era stato un solo giorno in cui non avessi ricordato e
rivissuto il crollo e la sconfitta. Fui separato dagli altri, catturato, legato
stretto, immobilizzato nella stanza delle torture, invitato a parlare poi,
terribile, arrivò la prima scossa, la seconda, la terza. Mi accasciai sotto gli
impulsi elettrici. Poi il vuoto. Ricordo solo del momento in cui mi ritrovai
con mio fratello che era riuscito ad entrare in quella casa di pazzi e a
portarmi via. La fuga fu veloce. Mio fratello Adamat mi fece stendere sul
sedile posteriore dell'automobile. Come per magia il cancello elettrico
lampeggiò e si aprì per permettere il nostro passaggio. Poi si richiuse subito
dietro di noi. Chissà quando aveva dovuto pagare! Scappammo via nel buio della
notte. Ricordo solo la musica dello stereo a tutto volume che faceva da colonna
sonora alla nostra fuga.
Quel momento
terribile oramai era solo ricordo,
spiacevole, doloroso, ma solo un ricordo. Grazie a mio fratello, che sospettavo
facesse una sorta di doppio gioco tra noi e loro, trovai nelle settimane
successive l'attuale ricovero e il nuovo gruppo di combattenti. Gli internati,
nascosti lì come me, aumentavano di giorno in giorno. Adamat era amico di Bosi e faceva la spola tra Barat e Zagari, in base
alle sue possibilità. Alla prossima visita gli avrei consegnato l'annuncio da
pubblicare sulla Gazeta per il reperimento di tutto l'equipaggiamento a noi
necessario. In serata, dopo l'addestramento e il rancio della sera, avrei
preparato l'avviso. Avevamo bisogno di cose svariate, non necessariamente del
medesimo colore, che potessero mettere il nemico in confusione, riflettevo ascoltando
le note della Dieppen Marsch. Ecco, l'annuncio era perfetto così
Uniformi militari acquistò fino al 1945 in contanti da privati
e commercianti berretti elmettii caschi coloniali elmi colbacchi cavalleria fez
cinturoni spalline medaglie frecce distintivi
militari d'epoca fotografie e documenti ecc. max serietà riservatezza
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I giorni
scivolavano via, l'uno dopo l'altro, tutti uguali, come una bugia raccontata al
tempo. Scandivano il ritmo monotono del nostro ritiro i risvegli, i pasti, gli addestramenti, le mie lezioni, le
fastidiose interruzioni di Munash Bosi e della sua Galina, con pasticche e
iniezioni. Spesso pensavo alla mia Mirlinda. La mia dolce compagna era sparita
in un giorno di marzo, un po' prima della mia cattura. Non avevo saputo
difenderla, non avevo saputo tenerla
stretta a me. Cosa era accaduto alle nostre vite? Ricordavo in modo confuso un
teatro, una lettera, una discussione con Mirlinda. Poi tutto era andato alla
deriva. La vedevo ancora davanti a me, alta e magra, coi lunghi capelli lisci e
castani, appena ramati, gli occhi verdi, il viso aperto e pulito, senza trucco,
la pelle bianchissima e perfetta di tutto il corpo. Dove sei adesso, tesoro
mio, dove sei?
Il dottor Bosi
mi aveva avvertito che l’indomani sarebbe venuto a prendermi Adamat. Sarei
andato a casa con lui per il Natale,
almeno per quattro giorni. La cosa mi infastidiva. In fondo stavo bene lì. Mi
ero abituato, avevo la mia camera, i mei colleghi, gli spazi comuni e gli
allenamenti. Ma avremmo tutti sospeso l’addestramento per un paio di settimane,
tanto valeva accontentare Adamat.
Il mattino
successivo venne a prendermi Galina che
mi condusse nell’ufficio del comandante medico Bosi. Questi come al solito mi
visitò con scrupolo e mi fece le solite domande e le note raccomandazioni.
Detestavo ricevere ordini, anche sotto forma di consigli medici.
-
Ecco, colonnello, tenga questa e aspetti ancora un po’
qui che venga suo fratello. Non tarderà.
-
Cos’è questa roba?
-
Le sue medicine per i giorni in cui sarà fuori e dei
documenti da consegnare ad Adamat.
-
Che documenti? E’ roba riservata?
-
Certo, la dia a lui. Vi servirà.
-
Capisco, è per la mia copertura.
-
Sì, colonello, la copertura – mi fece eco il medico
scuotendo il capo. Per un attimo mi sembro avvilito.
Appena uscì
dalla stanza, aprì la busta gialla e lessi. E sì che l’avevano pensata bella!
Ma come potevano aver fatto!?
OSPEDALE PSICHIATRICO DI ELBASAN
CARTELLA CLINICA 1997 1 IN
PAZIENTE: GAZLIND
PRELJOCARY di anni 37
PROFESSIONE: MUSICISTA,
già direttore d’orchestra del Teatro Nazionale di Tirana
REGIME RICOVERO: residenziale
ONERE DEGENZA: statale
REPARTO: Psichiatria
DIRETTORE: dr. M. BOSI
DIAGNOSI DI INGRESSO: psicosi
maniaco depressiva , disturbo post-traumatico da stress, delirio,
allucinazioni, sdoppiamento della personalità
DATA : 30 novembre 1997 ORA :
08.33
DIARIO: Si accoglie in CRT, in
regime di residenzialita', il signor PRELJOCARY, noto presso i servizi territoriali e
con in anamnesi precedenti ricoveri presso SPDC di questo ospedale. Inquieto ed
a tratti verbalmente aggressivo e clamoroso.
Non dispercezioni
nell'attualita', non disturbi del contenuto del pensiero, fatto salvo un certo
grado di persecutorieta' del tutto non strutturata. Eloquio a tratti
stereotipato, ripete a volte le parole gergali militari. A tratti fatuo,
severo, umore elevato nel senso dell'euforia, emotivita' labile e direttamente
agitata.
Attualmente convinto di essere un ufficiale
dell’esercito.
Di recente è rimasto
sconvolto dal suo licenziamento dal teatro nazionale e dall’abbandono da parte
della moglie, eventi traumatici seguiti ai fatti di guerra e agli esordi della
malattia.
L'accoglimento in CRT
e' considerato utile al fine di stimolare le capacita' residue favorendo la
risocializzazione e l'autocontrollo delle
crisi dissociative.
NOTE: in maggio ha subito terapia
elettroconvulsivante presso l’OSPEDALE PUBBLICO di TIRANA, sotto l’assistenza
del Prof. Arkan
UTILIZZI:
FARMACI: come in terapia
PROVENIENZA: TRASF. OSP. PUBBLICO
PSICHIATRA DI RIF: Dr. Oscar
FUSJI
ALTRI RECAPITI: il fratello
ADAMAT
TEL. INDIRIZZO
Diario Infermiere
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Data : 12.12.1997 ora: 12 min:
08
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Diario:
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Oggi il paziente ha collaborato nell'assunzione dei farmaci ed e' tranquillo
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Utilizzi:
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1inferm
OP
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