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venerdì 24 gennaio 2014

GIULIO E IO











GIULIO ED IO

Racconto

Giuditta Di Cristinzi














Dedicato a tutte le mamme del mondo,
 particolarmente alle mamme di figli speciali

















CAPITOLO  I

            Mi svegliai nel cuore della notte. C’era tanto vento. Sibilava forte tra i rami. Mi innervosiva. Mi alzai e scesi giù. Il vento scuoteva tutto, anche i miei pensieri. Tutto il mio essere. Minacciava pioggia. Uscii fuori nel buio e raccolsi i panni stesi ad asciugare dal giorno prima. Andai in bagno. Avevo uno stimolo continuo. Cercai di fare un po’ di training, di respirazione, ma invano. Ero completamente preda dell’ansia. Risalii su, andai di nuovo in bagno. Un dolore dietro l’altro. Svegliai Franco.
            “Sto male, è ora di andare.”
            Ci vestimmo in fretta; Franco prese la valigia, ormai pronta da qualche settimana, e andò a prendere mia madre. Fece in un attimo, mentre io mi torcevo dal dolore, sempre più incalzante, sul divano. L’utero si contraeva. Sentivo che voleva liberarsi in fretta. Era il mio secondo figlio e sapevo che avrei avuto un travaglio meno lungo e doloroso che per Aurora. Franco rientrò in casa con mamma, che lasciammo in casa a vegliare sulla piccola.
            “In bocca al lupo, cara, andrà tutto bene, vedrai. Ormai sei una supermamma.”
            “Crepi, mamma, grazie. Ci vediamo domattina. Appena possibile, in orario di visite, mando Franco a prendere te ed Aurora. Ciao.”            
            Arrivammo in ospedale. Ero pronta. Mi sistemarono velocemente e mi portarono direttamente in sala parto.
            “E uno, e due, e tre, alla prossima!”
            Alla seconda spinta venne alla luce il mio Giulio. Fece appena un piccolo nghè. Era piccolo, nero, bagnato, sporco. Tenero tenero. Ero stanca e felice. Avevo coronato i miei sogni di ragazza. Una bella casetta a due piani con un po' di giardino, un marito tranquillo, due figli, una femminuccia e un maschietto, un lavoro.
Pensieri, ricordi, sensazioni mi attraversavano la mente. Mentre lavavano e preparavano Giulio, il dottore sistemò me con due punti di sutura sull'episiotomia. Mi riportarono in camera. Ero stanca morta e chiesi di poter dormire un poco. Il riposo durò poco e fu solo un leggero dormiveglia. Nella stanza in penombra non ero sola.
Voci, figure, campanelli, sogni, immagini. Alle dodici circa, aprirono le porte del reparto e iniziò la processione delle visite. Mamma con Aurora, Franco con mia suocera, mio fratello, mia sorella, Carla, Anna Rita,... Avevo tanta fame, ma non volevo dar fastidio. Avrei aspettato il rancio dell'ospedale e avrei mangiato quello. Sicuramente, pensavo,  mi toccherà una dispersione di pastina in brodo della più tipica, ospedaliera e scotta, e una fetta di carne arrosto con insalata. Evviva! Un bel caffè, ecco cosa volevo davvero. Un caffè bollente per tirarmi su. L’avrei chiesto a Franco se non fosse scivolato via dalla stanza, alla prima occasione, prima degli altri, col pretesto di riaccompagnare la madre a casa. Ma sì, in fondo sapevo che più che il mio compagno era come un altro figlio, il più grande, il più bisognoso di cure, il più insofferente. Lui, il lavoro, il bar e il calcetto. E, naturalmente, la mamma. Il suo mondo era circoscritto in questi angusti confini. Tutto sommato l'avevo sempre saputo. Come sapevo che c'era di peggio nel panorama maschile, dunque dovevo accontentarmi.
Quando tutti furono andati via, la nurse mi portò Giulio, con la sua bella tutina nuova, avvolto in un soffice telo, le manine scure, raggrinzite, chiuse a pugno. Lo presi in braccio e fu subito amore e lacrime di commozione. Tirai fuori un seno e glielo offrii e lui, piccino piccino, non tardò a capire. L'odore, forse, lo inebriò prima di ogni cosa, occhi socchiusi, boccuccia secca, trovò il capezzolo e si attaccò succhiando d’istinto. I nostri ormoni facevano il loro lavoro. L'ossitocina mi stava facendo sciogliere in un rivolo di latte, di rilassatezza, di amore che, nato in quel momento, sarebbe solo cresciuto e non avrebbe visto mai più fine.

CAPITOLO II


Aurora prendeva Giulio per mano  e tentava di portarlo fuori in giardino. Voleva giocare col suo fratellino, ma lui scappava via; non ne voleva sapere. Lei, sempre ciarliera e allegra, faceva l'ultimo anno di asilo. A settembre anche Giulio avrebbe cominciato con la scuola dell'infanzia. Io mi barcamenavo tra loro due, la casa e il lavoro part-time.


... 

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