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venerdì 31 marzo 2023

Giocare ancora 

Rincorrersi 

per non morire 

Cercarsi a nascondino 

Fuggire 


Tana me l'hai fatta tu 

Gioco da sola



Fiuggi, 31 3 2023


È vuota 

la mia stanza 

dove aspetto 

un segno 

dalla statua di sale 

È invadente 

il vociare 

dei pensieri 

È solitudine 

la pausa 

in riflessione 

È surreale 

la Spa 

senza 

È inutile 

l'infradito 

rimasto solo 

sul bordo

È stilicidio 

la musica 

di relax 

mero concetto 

Perfino l'acqua 

non è più acqua

non è più niente 


Fiuggi, 31-3-2023

Ti voglio

un bene che fa male

Sei un organo

più mio dei miei,

tenuto dentro 

Il vero cuore conficcato 

nel mio 


La mancanza divampa

e occupa la mia presenza 

che è nulla, nulla 

di fronte a questo altare

dove ho sposato

e indugiato

e pregato 

e acceso ceri

e ringraziato

e gioito 

e fatto funerali


Il volo da tutto

a niente 

è un tonfo

nel vuoto

dinanzi a un simulacro 

di sfinge

La solitudine dell'essere 

pare la negazione 

della stessa vita 

che continua e continua 

e continua, 

purtroppo

senza te


Fiuggi, 30 marzo 2023

 La forza sovversiva

delle parole 

autentiche

sfonda 

le trincee maleodoranti

dell'inconsapevole difesa 


Fonda

nuovi ordini

partecipati

o subiti


Fiuggi, 30 marzo 2023






Ti scolpisco

con le parole

Ti tratteggio

piano, con bulino

invadente

Incido 

la linea

della scorza

modellata 

dall'interno trauma

Scalpello 

quel marmo 

impuro,

inquinato 

da rifiuti

e abbandoni,

consolidato 

in arrocco


Ti dipingerò

con le parole

tutte le sfumature

e i chiaroscuri,

la profondità

della prospettiva, 

l'orecchio sfuggente,

la chiusura 

Fosche tinte 

di negazione

e delusione 

dell'indifeso

Vergherò

reazioni cromatiche 

forti

Guazzabuglio 

di cazzotti viola

e corolle bianche

di luce


Ti colorerò

gambo di spine

e petalo di velluto 

e lascerò 

la rosa

sulla sua pianta

Non colta 


Fiuggi, 31 marzo 2023






martedì 7 marzo 2023

La consegna del silenzio


Capita a volte di avere stretti rapporti con qualcuno che ci impone il silenzio, per vari motivi. Qualcuno che non vuol parlare perché lo ritiene inutile o ripetitivo o per punirci o per isolarci o non ascoltare le nostre ragioni. Ad ogni modo è una violenza, è la gestione non condivisa di un rapporto a due, è un atteggiamento definito in psicologia come passivo aggressivo. Credo sia proprio dei prepotenti, degli aggressivi attivi in remissione, degli insicuri.

Il silenzio imposto è la riprova di quanto sia difficile e complesso comunicare, ovvero rendere comune, il proprio intimo, le proprie esigenze, la propria natura, in ultimo i propri pensieri.

Comunicare non è facile, è un' arte complessa, è alchimia di pause e parole, è privilegio che sicuramente non m'appartiene, perché la mia piuttosto è chiacchiera chioccia. Ma il silenzio è solo chiusura, è una saracinesca abbassata, è serrata di chi non sa, non può accogliere. 

lunedì 6 marzo 2023

Chi ti crea problemi ti aiuta a crescere

 Se non avessi studiato diritto forse avrei studiato psicologia. 

Mi affascinano i meccanismi della mente umana e mi piace leggere di Freud e Jung, ascoltare Morelli e Recalcati, ricercare la ragione di certi comportamenti. 

Nell'ultimo periodo ho riflettuto sugli amori controversi e sofferti, sempre al centro delle conversazioni delle donne. 

Quando sono con le amiche non facciamo che parlare dei comportamenti degli uomini e di come a volte facciano soffrire; diveniamo ripetitive e sterili, sciocche e lagnose. 

Un giorno mi sono imbattuta in una frase bellissima e in un articolato pezzo che propone una spiegazione alle pene d'amore, una spiegazione che mi ha convinta. 2019

"CHI CI CREA PROBLEMI E’ IL NOSTRO PIU’ GRANDE ALLEATO

La fonte della nostra infelicità è spesso da cercare dentro di noi e più precisamente nelle nostre resistenze interiori. Più necessitiamo di portare un cambiamento nella nostra vita perché la realtà che ci siamo costruito intorno ci sta stretta, e più un perverso meccanismo ci impedisce di muoverci e portare a termine quell’azione necessaria a portarci fuori dalla nostra prigione dorata fatta di routine, noia, insoddisfazione e frustrazione. Per fortuna, una parte di noi si attiva con intelligenza per fare appello a un aiuto esterno, aiuto che spesso non riconosciamo come tale se cerchiamo di identificarlo in una persona precisa invece che come un processo, un “qualcosa” che succede mentre interagiamo con l’altro. Inserendo nella nostra realtà questo “altro” scelto con “incosciente consapevolezza”, ci diamo una possibilità di rompere gli argini e attuare quel cambiamento di cui abbiamo così tanto bisogno, andando finalmente oltre quelle resistenze disfunzionali. Sarà indolore? Dipenderà da noi e dalle nostre scelte: resisteremo con forza, ancora e ancora, oppure apriremo gli occhi e accoglieremo il cambiamento? Quando i problemi ci aiutano a rimetterci in movimento

Il rischio che corriamo quando una parte di noi teme il cambiamento, è quello di congelarci sulle nostre posizioni, di cristallizzarci a tal punto da impedirci di cambiare, di seguire il flusso della nostra vita, se non con l’intervento di qualcosa (o qualcuno) che ci scuota come un terremoto, con l’effetto di rimescolare tutte le carte in tavola.

È la crisi benefica, quella che ci permette di uscire da uno stato in cui tutto sommato non ci possiamo lamentare ma che non ci rende felici perché quella realtà che abbiamo costruito non ci corrisponde nemmeno un po’, e viviamo da comparsa in quella messa in scena che finirà soltanto alla nostra morte.

L’agente della nostra crisi, facendoci crollare tutto addosso, ci obbliga a muoverci, o almeno così richiederebbe il nostro istinto di sopravvivenza, ma spesso facciamo resistenza credendo in bugie che ci raccontiamo per evitare di cambiare, perché questo significherebbe accettare di aver fatto in passato quella serie di scelte che ci avevano allontanato da noi stessi.

“Siamo irresistibilmente attratti da chi ci creerà i problemi che ci servono per la nostra evoluzione personale.”
Alejandro Jodorowsky

Facciamo resistenza perché ci siamo affezionati all’immagine della realtà, perdendo di vista la vita vera. Ecco perché occorre rompere l’immagine, riuscire a mandarla in frantumi e accettare di guardare al di là dello specchio. Ovviamente, se già facciamo resistenza all’aprire gli occhi sulla realtà virtuale nella quale ci siamo invischiati, figuriamoci riuscire a rompere lo specchio; che fare allora? Andare in cerca di un aiuto, una persona che riuscirà a bypassare i sistemi d’allarme delle nostre resistenze e che ci darà quello scrollone di cui abbiamo bisogno per tornare in movimento. Siamo noi a scegliere gli agenti della crisi nella nostra vita. Per evitare di raggiungere il punto di cristallizzazione perenne che ci impedirebbe di effettuare qualsiasi cambiamento utile alla nostra evoluzione (e fioritura personale), la nostra intelligenza ci spinge all’ incontro con gli agenti della crisi, gli attori del periodo della nostra vita che vivremo come una sfida; vestendo i panni degli antagonisti, essi creano gli ostacoli necessari per aiutarci a uscire da quella pericolosa routine che finirebbe per fagocitare ogni desiderio di rinnovamento utile alla vita stessa, ogni tentativo di esplorazione di nuovi orizzonti, ogni impulso creativo.

Questi agenti della crisi ci aiutano in una maniera semplice ed efficace, rispondendo all’assurda, ma fin troppo umana, inclinazione a dare valore a ciò che si perde: usando il principio di scarsità per fare leva sui nostri reali desideri, i nostri antagonisti ci spingono a capire cosa conta davvero per noi e a uscire dalla nostra bolla di vetro per difendere ciò che ci è caro.

È spingendoci fuori dalla nostra zona grigia, fatta di abitudini e sentimenti vissuti a metà, che ci aiutano a capire cosa conta davvero per noi, a cosa non siamo disposti a rinunciare perché è troppo importante per noi e cosa dobbiamo lasciarci alle spalle. Scegliendo i nostri agenti della crisi, ci obblighiamo senza rendercene conto a prendere posizione, ad agire nella nostra vita invece che subirla.

Se prima vivevamo da semplice comparsa quasi sempre dietro le quinte, in un ultimo tentativo di riprendere le redini in mano ci cerchiamo un antagonista per aiutarci a diventare protagonista della nostra realtà. Cerchiamo l’azione esterna che causerà la nostra re-azione. È questo movimento da attore passivo ad attivo che forse cerchiamo quando attiriamo nella nostra vita quelle determinate persone che ci causano problemi su problemi.

Una parte di noi sa che non faranno parte del nostro cammino per sempre e che la loro presenza riveste un significato particolare per noi; il guaio è quando tentiamo di includere questi agenti della crisi dentro la nostra zona grigia, provando a farli entrare nella nostra routine e rifiutando di vedere che loro sono qui, a tempo determinato, per aiutarci ad uscire dal circolo perverso che “ci fa male ma non troppo”. E no, non sono loro a dover entrare in maniera permanente nella nostra piccola bolla evitandoci così di uscire allo scoperto!

Loro sono la goccia che serve a far traboccare il vaso, sono il colpo di vento che fa crollare il castello di carte, sono l’antagonista che distrugge l’immagine della realtà alla quale ci eravamo affezionati e che rifiutavamo di lasciar andare.

 

Riducono in piccoli frammenti lo specchio per spingerci a guardare il mondo e non più il suo riflesso. È vero, a volta fa molto male, ma quel dolore è causato dalle nostre resistenze perché trattenere ciò che deve sparire e non fa parte di noi fa male, fa molto più male che accettare di lasciar andare; e la crisi serve a questo: è un ponte tra uno stato e l’altro, è il momento intermedio tra uno stato giunto alla sua completezza e un nuovo inizio.

Agli agenti della crisi spetta il compito di tracciare una linea netta tra passato e presente; a noi spetta quello di andare avanti e di non di rimanere incastrati nel nostro limbo interiore."

Sandra “Eshewa” Saporito
Autrice e operatrice in discipline Bio-Naturali

 


SEPARAZIONE E DIVORZIO

Sono sicuramente una persona "all'antica" ma interpreto in maniera molto critica i risvolti sociali di alcuni punti della cosiddetta riforma Cartabia della Giustizia, introdotta con Decreto Legislativo n. 149 del 10 ottobre 2022. 

Un tempo il divorzio non era conteplato nel nostro ordinamento, quello di cui al codice civile del 1942, codice antiquato e di morale fascista per alcuni, considerato il momento di compilazione e pubblicazione (16 marzo 1942). 

Successivamente, è noto, dopo molte battaglie, venne introdotto anche in Italia, cattolica e apostolica, distante anni luce da quanto accadeva già da tempo in altri Paesi d'Europa, il divorzio con la legge n. 898 del 1 dicembre 1970. 

Le polemiche e i mal di pancia non terminarono e nel 1974 venno indetto il referendum abrogativo che ebbe l'esito che conosciamo. 

Con buona pace di tutti, le separazioni e i divorzi sono aumentati nel tempo in maniera quasi esponenziale e la normativa è stata rivista per adeguare l'ordinamento al costume. 
Prima il tempo della separazione prescritto per poter ottenere il divorzio era di 5 anni, in seguito di tre; di poi la riforma del 2015 ha ridotto il termine a un anno nel caso di separazione giudiziale e sei mesi nel caso di separazione consensuale.

Con la nuova riforma si è andati ancora più avanti. 

Dalla relazione illustrativa del Ministero della Giustizia pagg. 75 e ss. si legge: "...A seguito dell'entrata in vigore della l. 6 maggio 2015, n. 55, che ha previsto la riduzione dei termini per proporre domanda di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio dalla data della comparizione dei coniugi nell'udienza presidenziale del procedimento di separazione, è emersa con sempre maggiore urgenza la necessità di dettare disposizioni che possano prevedere un coordinamento tra i due procedimenti, nonché ove opportuna la loro contemporanea trattazione..." e ancora  "...La possibilità, sia per il ricorrente sia per il convenuto, di proporre contemporaneamente domanda di separazione e di divorzio nel medesimo giudizio, garantirà economie processuali, considerata la perfetta sovrapponibilità di molte delle domande consequenziali che vengono proposte nei due giudizi...". "... Negli atti introduttivi del procedimento di separazione personale le parti possono proporre anche domanda di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio e le domande a questa connesse. Le domande così proposte sono procedibili decorso il termine a tal fine previsto dalla legge, e previo passaggio in giudicato della sentenza che pronuncia la separazione personale").

La ragione di tale accelerazione verso lo scioglimento del vincolo matrimoniale dunque sarebbe l'economia processuale, il dover far presto, il non occupare i tribunali con cose che appaiono quasi futili e pretestuose. 
Ebbene, questa società e questo nostro ordinamento cambiano molto, troppo velocemente per me. Io non riesco a stare dietro a questa evoluzione che fa anche del matrimonio e della famiglia un bene di facile ed effimero consumo. 
Non sono un'illusa sull'amore eterno e sono convinta che il matrimonio abbia funzioni più sociali, economiche ed egoistiche che amorose e sentimentali. 
Proprio per questo l'istituto si è giustamente evoluto. 
Prima occorreva soprattutto per procreare con certezza di patermità e per dare sostentamento alla donna e accudimento all'uomo; poi si è modificato verso la parità dei ruoli, invero mai raggiunta, almeno dalle mie parti. Ma adesso mi sembra che davvero si esageri. Tutto free, tutto smart, tutto troppo veloce. 
Ci si piace, si sta insieme, si fanno magari dei figli, non si va d'accordo, si decide di lasciarsi. Neanche un po' di tempo per riflettere, per cambiare idea, per far passare la luna storta. Macchè, in uno separazione e divorzio e via verso nuove avventure. 

Mi spiace perchè la famiglia è un grande valore umano e sociale che andrebbe meglio tutelato assieme ai figli. 
 


Quiete serena

Mentre i giorni d'autunno si inseguono, io sto. Sto bene, ferma nel mio sole di novembre, a godermi l'amore sempiterno di mio marito...