Mentre i giorni d'autunno si inseguono, io sto.
Sto bene, ferma nel mio sole di novembre, a godermi l'amore sempiterno di mio marito Claudio e la laurea di mio figlio Ale.
Bisogna saper aspettare perché le gioie tornano sempre a casa, prima o poi, mentre consapevolezze crescono.
Pietro ora è a casa, pacificato e dolce; Claudio Maria è a Bologna, solo, a tessere la sua tela; Iva c'è, è una certezza; la foto di mamma mi guarda dal comodino.
Babbo lo penso e comprendo, lo accolgo. Gli amici, una corolla, i viaggi, i libri, le terapie, la Canovi, la Grossi, Roberta, tutti mi fanno buona compagnia.
L'altra sera, alla festa, ho parlato con Gianna, ho guardato Umberto. Non vado oltre perché non voglio soffrire. Non si può prosciugare un mare.
L'altra è lontana, distante, fredda e risentita. Aspettava lasciti, poverina, rinchiusa nelle sue assurde aspettative, nelle mancate risposte, in rapporti a senso unico che confermano forte dipendenza affettiva. Mi spiace. Sono piccola, non tocca a me aiutare, anche perché quando è stato il mio turno non è toccato a loro aiutarmi.
Ale mi ha reso felice. La laurea di un figlio è una grande gioia.
Allora non sono stata così male, o no?
E oggi ho fatto pure le tagliatelle in casa con la bolognese!
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