Il
valore dell’opera e lo spessore
culturale di Francesco erompono e si colgono sin dalle prime pagine, direi
dalle prime righe.
Nelle
parole di questa sorta di diario interiore, emozionale oltre che cognitivo,
scopriamo le tante idee dell’autore, il richiamo ai legami familiari, le
sensazioni e le personali impressioni non solo sulla società attuale -in senso
lato-, ma anche su questo spicchio di realtà, Venafro, la nostra piccola città, come a lui piace sempre chiamarla, amata e
spesso evocata quale paradigma della vita di provincia.
In
Lettere e disarmonia Francesco ha
diluito saperi filosofici ed evocazioni
liriche in episodi di vita vissuta e talvolta sofferta, come lui stesso ha
confidato.
Credo
sia stato un esperimento ben riuscito.
L’opera
-per la prima volta- non è un testo filosofico, ma un libro per tutti, di
agevole anzi piacevole lettura, tuttavia
è pur sempre un testo dotto, fitto di citazioni e di rimandi, a grandi pensatori come Paul Ricoeur, Spinoza, Levi Strauss, Kierkegaard, Aristotele, Barthes, S. Tommaso, ma anche a cantautori come Guccini, Leonard Cohen, Claudio Lolli.
L’intento
che si propone l’autore credo sia quello enunciato nel titolo, Lettere e disarmonia dunque.
Su
un’intelaiatura di filosofia, letteratura e studi classici che sottendono l’intera stesura,
Francesco fa una disamina delle discordanze,
delle dissonanze, delle stonature del nostro tempo, della nostra
società liquida, postmoderna e multimediale, priva dei solidi riferimenti del
passato.
Ma
il titolo Lettere e disarmonia per
assonanza rimanda anche al binomio Lettere e Filosofia, quindi alla facoltà
degli studi di Francesco, inoltre ogni frammento può essere visto come una
lettera in un mosaico tutto da comporre.
Sostanzialmente
il testo è una mistura, uno zibaldone
dei pensieri raccolti nel corso degli ultimi 5-6 anni, a far tempo dal
berlusconismo declinante sino ad oggi, durante i quali ogni incontro, ancorché
casuale, ogni contatto amicale o familiare, ogni viaggio in Italia o all’estero,
in Egitto come in Germania, ogni
spostamento, spesso per motivi di studio, in metro o in pullman, in treno -da e per Roma- è spunto per riflessioni profonde sui rapporti umani,
sulla religione, sulla politica, sulle forme della moderna alienazione.
Così
Francesco trova agevolmente e in maniera sempre acuta, lucida, originale, lo
spunto per dire la sua sul cristianesimo, visto come la più nobile filosofia della consolazione, sull’amore, su
Renzi e sul suo pragmatismo spavaldo, su Berlusconi e il suo ventennio, sulla TV di oggi, spesso trash,
sui casi di Stefano Cucchi e Federico Aldovrandi, sull’Auschwitz di 70 anni fa
e sull’A. che si ripete ogni volta che
l’uomo vede l’altro uomo solo come una cosa, sui movimenti populisti che di recente
prendono sempre più piede in ogni angolo del globo, sulla filosofia, sull’Europa, vista purtroppo solo come utopia di unione, sull’omosessualità, sulla droga, su Internet e
sui social.
I
numerosi pensieri espressi, in maniera piana e diretta, sono raccolti senza un
apparente ordine sincronico e tematico, perché in Lettere e disarmonia è condensato tutto il nostro tempo nel suo
fluire magmatico, tuttavia accordi e fughe di senso sono presenti sottotraccia e vanno ricercate dal lettore e da ciascuno con la propria sensibilità.
Ma
nell’opera, che è un amalgama di ingredienti vari, è possibile cogliere anche dell’altro.
Tra
le righe fitte di citazioni e pensieri che appaiono prima facie sovrastanti, forse perché il pensiero è pur sempre il
lavoro di Francesco, in realtà ogni incontro, ogni episodio di vita on the road suscita emozioni e dà
origine a creazioni liriche che colpiscono e commuovono, nel senso etimologico
del termine, il lettore.
Così
la prosa spesso si fa poesia, attraverso la sublimazione del reale.
Ascoltiamo
ad esempio un brano tratto da pagina 71 dalla voce espressiva della nostra
amica Vera Cavallaro:
“Certe notti
sono confuse nella loro dolcezza suadente.
Girare a
vuoto in macchina per trovare una chiave di volta,
(…) .
Talvolta può
bastare una vecchia canzone riscoperta alla radio.
Certe notti
le stelle, fioche ma inesauste, intrecciano
trame
generose.
E così il cuore, prima calato come le serrande
dal silenzio domenicale, può battere festosamente.
Certe notti
cadono le maschere, e musica e parole si elevano dal fondo brumoso del vociare
quotidiano.
Di notte ci si
riconosce. Forse si può amare, nel modo più autentico, soltanto mentre il mondo
dorme.
Certe notti
il mondo stesso è lieve.
Quel che si
ruba al riposo è un investimento per la vita”.
In
questo e numerosi altri passi possiamo abbandonare l’uso della ragione e la
ricerca della comprensione e perderci nelle sfumature dell’ispirazione e nelle
suggestioni della contemplazione lirica.
Qui
certe
notti è l’evocativa anafora della dimensione più amata da Francesco.
Ho scorto una vocazione
maggiormente poetica ed emozionale del testo soprattutto nell’ultimo capitolo,
il quinto, intitolato Diario minimale, in cui l’autore indugia
nel ricamo di immagini molto suggestive e scrive di sfumature livide e purgatoriali che sembrano sospese fra un inferno
consumato e un paradiso perduto, di voluptas
e di baci che assecondano la tensione a sconfinare nel cuore dell’amato, di
fuga come correlato di vuoto.
Nell’intero testo il
linguaggio è elaborato, la narrazione é agile e fluida, la prosa aulica e
ricercata, lo stile colto, anche quando l’episodio di vita quotidiana narrato induce all’autoironia
(pag.12).
….
Indugi poetici o passi
gustosi come questo abbondano nel testo, se ne potrebbero citare molti, che
vanno invece lasciati assaporare al lettore in solitudine, ma il vero manifesto
o testamento spirituale dell’intera opera mi sembra contenuto in un biglietto
augurale che l’autore scrive –in occasione
della venuta al mondo- ad una bimba, figlia di una cugina amata come una
sorella (pagina 27):
“ Il nostro non è il
migliore dei mondi possibili. Imparerai a resistere alle seduzioni degli
entusiasti. L’ottimismo è sempre il rovescio della disperazione. Tutto sommato,
questo mondo non è un granché. Imparerai a scovare e schivare le insidie oltre
il velo delle cose. Sai, se un senso c’è – e non ho motivi per dubitarne – è
stato capovolto. Le parvenze pagano più della sostanza. La logica del profitto
ha scacciato la solidarietà. La diffidenza ha bandito la curiosità che è
condizione di amicizia e conoscenza. Le sere si consumano nel riflesso del
televisore. Gli sciocchi sono al potere. Non vorrei spaventarti, ma è giusto
che tu sappia come stanno le cose. Non si crede più in qualcuno né in qualcosa,
tantomeno in Dio. Io, ad esempio, non credo a nulla ma mi interesso a tutto.
Sarò al tuo fianco.”
I
Ebbene,
da queste righe appare in piena evidenza la lucidità di giudizio, la
concretezza dell’analisi e il disincanto sulla realtà, nonostante i quali l’atteggiamento di Francesco –mi pare evidente,
forse grazie anche alla giovane età- resta di grande apertura, volto proprio a
quei valori che lui ritiene spesso negati, alla curiosità, alla solidarietà,
all’amicizia, alla conoscenza, al desiderio di andare incontro alla vita con
coraggio, senza risparmiarsi esperienze ed emozioni.
Bravo
Francesco. Auguri!
Lettere
e disarmonia, Francesco Giampietri,
L’Erudita di Giulio Perrone Editore, Roma 2017
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