Arriva l'autunno e torna la voglia di andare al cinema.
Questa sera ci sono stata con Claudio e gli amici, a Campobasso, in una multisala, Il maestoso, che poi tanto maestoso non era, a vedere il film del momento, Io capitano di Matteo Garrone.
Il film, acclamatissimo, è uscito nei primi giorni di settembre in 200 sale in Italia e ha già ottenuto più di un milione di euro di incassi. Nei prossimi giorni sarà proiettato in 350 sale in Italia ed è stato acquistato in molti paesi all'estero.
È candidato come miglior film straniero agli Oscar.
Il regista capitolino ne ha parlato approfonditamente in un'intervista.
Il film inizialmente è molto crudo ma poi si dipana in momenti onirici e di fiaba fino ad un finale lieto ma non scontato.
Parla di due ragazzi senegalesi, cugini, che hanno il sogno di andare via dal loro paese, non tanto per sfuggire alla guerra o per cercare migliori fortune economiche ma perché affascinati dall'Europa, dalla globalizzazione e dalla possibilità di diventare due rapper famosi. Contro la volontà dei genitori si mettono in viaggio. Dal Senegal passano nel Mali, quindi attraversano tutto il deserto del Sahara, giungono in Libia e vengono imbarcati nel Mediterraneo.
Il viaggio è terribile. Uno dei due, il "capitano" Seydou, alla fine viene posto da scafisti senza scrupoli al timone di un barcone carico di migranti proprio perché minore e non imputabile.
Ma prima di giungere al mare, i giovani dovranno affrontare prove cruente e pentirsi amaramente di essere partiti.
Nonostante le avventure davvero toccanti, ci sarà il lieto fine dell'approdo in Italia.
Ma il viaggio è davvero un odissea. I ragazzi partono su un'auto a noleggio di fortuna con altri fuggiaschi, dovranno pagare per avere dei passaporti falsi, verranno scoperti, dovranno pagare ancora la polizia corrotta per poter proseguire, arriveranno in Libia dove saranno separati perché Moussa, il cugino di Seydou, aveva nascosto il denaro rimasto dentro di sé. Verrà scoperto e imprigionato. Ma anche Seydou in seguito sarà tradotto in un carcere libico dove, sottoposto a percosse e torture, verrà comprato, insieme a un uomo adulto che si prenderà cura di lui e lo proteggerà, per svolgere il lavoro di muratore. Lavorerà nel deserto per uno strano personaggio ricco e otterrà in dono la libertà e la possibilità di imbarcarsi. Durante il viaggio nel deserto e dopo le torture in carcere, il povero Seydou sognerà di poter ritornare dalla madre, di poterla vedere, di poterla chiamare.
I momenti onirici addolciscono la crudezza del film, stemperano la tensione introducendo gli elementi della fiaba. E del resto in tutte le fiabe c'è anche dolore e crudeltà.
I momenti di maggior pathos sono quelli della traversata nel deserto, su una camionetta che li sballonzolerà sulle dune, e le scene delle torture in carcere. Molti uomini moriranno ma le determinazione dei ragazzi li condurrà alla fine del viaggi.
Arrivati a Tripoli riusciranno a ricongiungersi ma Moussa è stato ferito.
La prima parte è sicuramente più cruenta e più approfondita.
La seconda è più veloce e comincia a virare verso il lieto fine, verso il fiabesco.
È un film particolare, quasi un documentario, tutto in senegalese e in francese, con i sottotitoli e con degli attori, forse, non protagonisti
Pone al centro una delle più grandi emergenze umanitarie dei giorni nostri, una tragedia che mi ha toccato tantissimo al momento del naufragio di tanti barconi nel 2015 e ispirato alla scrittura della raccolta Strage d'anime, dedicata a tutti i caduti del Canale di Sicilia.
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