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martedì 25 febbraio 2020

MINIMAL

Per la serie i miei racconti


L’UOMO CHE AVEVA FRETTA

Cercò il nome sul citofono, con lo sguardo miope. Pigiò  un tasto.
            - Secondo piano, gracchiò  una voce maschile.
Un cancello, un portone, un altro, due gradini. Diede uno sguardo al vecchio ascensore, di quelli con la porta esterna e i due sportellini dietro, rivestiti di radica di mogano e ottone. Scelse le scale, le fece in pochi balzi. Arrivato su, in cima al pianerottolo, non ebbe neanche il tempo di guardare. Vide una porta socchiusa, senza indicazioni, fece capolino, entrò e si richiuse la porta alle spalle. Un'occhiata nel corridoio, poi si diresse nella prima stanza.
            - Chiedo scusa,...-
            - Prego, prego,  sei un po' in ritardo. Siediti, ci presenteremo dopo. Lì, in fondo dovrebbe esserci una sedia libera. –
Prima di capire e  di realizzare, Luca si infilò tra le sedie disposte in doppia fila, aprendosi un varco che immediatamente si richiuse al suo passaggio. Arrivò in fondo alla stanza e si sedette. Dopo un attimo di esitazione, lasciò cadere a terra, quasi sconfortato, la sacca che aveva con sé. Cominciò a guardarsi intorno perplesso. Noi eravamo presi dalla proiezione del film che ci stava propinando Marinella, in penombra. Il tipo non guardava. Era completamente distratto da qualcos'altro.
- Zzzzz...- intimò il silenzio il secchione in prima fila, per soffocare il brusio che si era creato con l'ingresso in aula dello sconosciuto. Questo si fece piccolo piccolo e zittì, proprio mentre cercava di articolare una risposta alla mia veloce presentazione e alla mia domanda. Accavallò le gambe e cominciò a battere ritmicamente a terra con la punta del piede. Guardò nervosamente l'orologio. Guardai anch’io. Le 09.51. Rivolse lo sguardo fuori dal balcone semiaperto. Decine e decine di cicche di sigaretta, nei vasi, a terra, nell'angolo, sul davanzale. Doveva viverci una  tribù di turchi,  sembrò pensare. Era leggermente scarmigliato, rosso in viso,  con la barba di due tre giorni,  tutto sommato carino. La pellicola scorreva e il tizio vi buttava di tanto in tanto uno sguardo distratto. Cavolo, stava distraendo anche me. Guardò di nuovo l’orologio e poi ancora e ancora, ogni venti, trenta secondi. Tamburellava piano le dita sul bracciolo della sedia. Poi cominciò a mangiarsi le unghie della mano sinistra.







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