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sabato 29 febbraio 2020

GIULIO ED IO PARTE III

...SEGUE...


CAPITOLO VII

Il tempo trascorreva  veloce; a me pesava come se fosse doppio. Annegavo nella quotidianità, mille cose da fare, ma se mi fermavo a pensare mi prendeva il panico. Mi chiedevo come sarebbero stati gli anni futuri, come sarei invecchiata, cosa avrebbe potuto fare Giulio da grande o, un giorno lontano, senza di me. Alla fine delle scuole medie, gli avrei fatto frequentare una scuola professionale, per imparare un mestiere, per addestrare la sua manualità, portata per il disegno, i grafismi. Avremmo dovuto trovare qualcosa che sfruttasse il suo schematismo mentale.
“Magazziniere in una farmacia o addetto di una cartolibreria? Boh, vedremo”, mi dicevo.
Intanto cercavo di sfruttare tutti possibili permessi per motivi di famiglia, i benefici della legge 104, la malattia e via discorrendo. Ero entrata in un gruppo, a Roma, “Mio figlio, l’autismo ed io", una onlus  che organizzava incontri, corsi, convegni, banca delle ore. Ci si riuniva in un cinema dismesso ogni primo giovedì del mese, per chiacchierare e confrontarsi. A volte gli incontri erano solo per i genitori; talvolta, invece, aperti anche ai ragazzi. Spesso ospitavamo medici ed educatori esperti. Un giorno riuscii, non so come, a trascinarci anche Franco, ma una volta sola. Non volle venire mai più. Incontrare altri genitori come noi, parlare dell'argomento significava oggettivare, rendere ancora più reale un fatto dal quale cercava di fuggire. In questi incontri conobbi, Mario e Luisa, due simpatici ragazzi marchigiani. Loro avevano due figli maschi gemelli, più piccoli di Giulio, entrambi autistici. Si facevano forza a vicenda, andando avanti su quella strada in salita che la vita  aveva riservato loro. Io facevo sempre  ricerche, mi documentavo, studiavo, speravo in qualche scoperta scientifica, in un vaccino, in una medicina nuova, ma nulla. Nulla di nuovo.

CAPITOLO VIII

A giugno, finalmente, Giulio terminò le elementari. Trascorremmo un breve periodo di vacanza in campagna., facendo sempre lunghe passeggiate. Lui era un vero camminatore, un passo dietro l'altro, veloce, costante, monotono. Non voleva fermarsi mai, non sarebbe mai rientrato a casa. Amava l’aria aperta e amava muoversi. Io non mi sentivo di lasciarlo solo e quindi ero costretta a seguirlo o, perlomeno, a tenerlo d’occhio. Talvolta era divertente, talvolta mi stancavo o avrei voluto fare altro.
A settembre, iniziò a frequentare la scuola media. Fu piuttosto nervoso durante le prime settimane. Aveva cambiato istituto, classe, compagni, insegnanti e per lui era più complicato che per gli altri adeguarsi. Si chiudeva in se stesso, non parlava e, se costretto a fare qualcosa, si ribellava, anche  con violenza. Cresceva a vista d'occhio, era molto più alto dei suoi compagni di scuola, anche perché aveva ripetuto un paio d'anni, tra asilo ed elementari. Aveva sempre un appetito famelico, spesso era smanioso, inquieto. Modificò la sua voce, cambiò odore, cominciarono a spuntargli  i primi peli e  un abbozzo di morbida barba, oltre a tanti brufoletti  in viso. Sempre più spesso voleva uscire a fare la sua passeggiata in punta di piedi. Certo, mi tenevo in forma, ma a volte era sfiancante stargli dietro. Camminava, camminava, camminava. Da quando era cresciuto, lo lasciavo fare un po' da solo. Andavamo al parco, vicino casa; io sedevo leggere un giornale o a chiacchierare con qualcuno e lui aveva il permesso di muoversi da solo,  un po' più liberamente, senza uscire però mai dalla mia vista. Era un tenero pasticcione, un timido. Aveva un rapporto un po' conflittuale con cani, coi quali si imbatteva ai giardinetti. Se abbaiavano, si irrigidiva, si bloccava. A volte li ignorava, a volte restava a fissarli. Non riuscivo a capire cosa rappresentassero per lui, se lo incuriosissero o spaventassero. Certo, non lo lasciavano indifferente, come accadeva per molte altre cose.
Avrebbe sempre voluto dormire con me, ma oramai era grandicello e cercavo di evitarlo. Stava crescendo in fretta, almeno nel corpo.
“Povero Giulio, come avremmo fatto quando fosse diventato un uomo?”, mi chiedevo. Tutto era più complicato con un figlio così. La scuola, l'apprendimento, il futuro, il lavoro, le relazioni sociali, affettive e, forse, un giorno anche le sue esigenze fisiche ed emotive. Avrei dovuto parlarne la prossima volta in associazione, prima che la questione divenisse  più urgente. Giulio era legatissimo solo a me; nei confronti degli altri era distante, non riusciva ad avere relazioni forti, amichevoli, intime, a scuola, con i compagni, con gli insegnanti. Tollerava le altre figure familiari, accettava le tenere carezze di mia madre, gli sguardi affettuosi e avvolgenti di Aurora. Era freddo col padre. Forse perché percepiva in lui un atteggiamento di non  totale accettazione.
Ma io ormai avevo smesso di fargliene una colpa. Da più di dieci anni convivevo con questo fardello gravoso. In passato, mi aveva fatto tanta rabbia. Avevo disprezzato Franco e sua madre, per il loro egoismo, i loro limiti, la loro vergogna, l'incapacità di accettare, di capire la realtà e interagire. Ora li avevo assolti. Per me stessa più che per loro. Avevo bisogno di conservare le mie energie, di non andare alla deriva, di provare sensazioni e sentimenti positivi. Quelli negativi erano inutili e facevano star male soprattutto me. Dunque via. Una specie di intelligenza emotiva, istintuale e spontanea si era fatta spazio dentro di me col passare del tempo. Tutto era già troppo complicato per avere pensieri pesanti e risentimenti.
Aurora, intanto, aveva terminato il liceo e si era iscritta all'università. In quell'occasione, ero riuscita come non mai ad esserle vicina. Le avevo parlato  molto durante tutta l'estate.
“Auri, guarda solo dentro di te. Non lasciarti influenzare da nulla. Non pensare a me e a Giulio, non pensare alle aspettative di papà o al denaro che ci potrà costare l'università. Scegli la facoltà e la sede che vuoi. Sentiti libera, è la  tua vita”,  le ripetevo spesso.
Lei riuscì a fare una scelta autentica. Abbandonò pian piano tutte le false idee, l'intenzione di restarmi vicina, di sacrificarsi, di fare qualcosa per conoscere meglio l'autismo, per aiutare Giulio. Si iscrisse a Scienze delle Comunicazioni, perché voleva fare la giornalista. L'aveva desiderato da sempre. Quand'era piccola restava affascinata dalla Gruber, che si stagliava  dal piccolo schermo con la sua figura piccola e forte, di tre quarti, leggendo le notizie belle e brutte al TG. Aurora si appassionò  subito alle lezioni, allo studio, alle esercitazioni.
Stava arrivando l'inverno ed io volevo accoglierlo non al solito modo, come un rimpianto, un abbandono al sole e al caldo dell'estate, ma come l’ingresso in un rifugio più intimo, in un'altra dimensione. Avrei cercato di godere di più la casa, il tepore del nostro camino, il sapore delle castagne arrosto, la tv accesa e Giulio ed io distesi sul divano, con un plaid addosso.
“Cucciolo mio, cos’hai? Vieni qua, vieni dalla tua mamma”.
 Giulio si faceva abbracciare, si strofinava contro di me, come aveva sempre fatto. Anche se ora c'era questa nuova cosa in lui, un’imbarazzante novità. Si svegliava preda dei suoi impulsi e non sapeva cosa fare. Era tanto nervoso a volte. Dovevo assolutamente aiutarlo, aiutarlo a gestire la sua sessualità, a capire che poteva e doveva vivere le nuove sensazioni, senza domande, senza vergogna, senza frustrazioni. Capivo quanto per lui fosse difficile poter avvicinare una compagna di scuola, una prof, una persona al parco. Come avrebbe fatto a vincere la sua ritrosia, la paura, l'impossibilità di avere rapporti normali, affettuosi, intimi con gli altri? Lui non permetteva a nessuno di toccarlo, di fargli una carezza o di dargli una pacca sulla spalla, a nessuno consentiva di toccargli la testa, di mettere le dita tra i suoi riccioli morbidi e neri. Solo a me. Non volevo che Giulio soffrisse, che provasse imbarazzo e non volevo che potesse suscitare l'ilarità ottusa di qualcuno di fronte ad una compulsione improvvisa, in pubblico.

CAPITOLO IX

“Ciao Margherita, a lunedì”, feci dopo aver timbrato il cartellino, uscendo dall'ufficio.
“Ciao Francesca, stammi bene!”, mi rispose lei, in tono gioviale come sempre.
Andai al parcheggio, presi l’auto e mi rassegnai a impiegare il doppio del tempo necessario per rientrare, per via del traffico e della pioggia battente. Arrivata a casa, mi annunciai con una scampanellata, mentre cercavo le chiavi in borsa per entrare. Auri mi precedette, aprendomi la porta.
“Ciao mamma, tutto ok?”, mi chiese premurosa.
“Sì, cara e tu? Hai studiato tutto il giorno?”.
“Sì, giovedì abbiamo un'esercitazione e non voglio sbagliarla. Voglio essere abbastanza preparata.”
“Bene, ma cerca anche di distrarti un po' nel weekend, esci. Marco possa prenderti stasera?”
“No, mamma, stasera no. Voglio andare a letto presto. Domani pomeriggio andremo al cinema e poi a mangiare una pizza.”
“Giulio che fa, è tranquillo?”,  chiesi.
“Sì, abbastanza. È tornato da scuola, gli ho preparato la merenda e ho cercato di distrarlo un po' con le costruzioni, ma non ne ha voluto sapere. E’ di là, impalato davanti alla tv”.
“Ok, vado a salutarlo...”.
Giulio frequentava ormai la terza media ed aveva l'orario prolungato. Avevo fatto in modo che si abituasse ad andare e a tornare da scuola col pulmino. C'era una graziosa assistente sullo scuolabus, Rossella, che lo prendeva in consegna al mattino e lo riaccompagnava il pomeriggio. Lui per fortuna l’aveva accettata, pur restando come al solito indifferente, ma  tollerante. Sull'autobus gli conservavano sempre lo stesso posto a sedere e lui se ne restava tranquillo così, in genere.
“Buonasera, tesoro mio. Come va? Cosa guardi? “
“Mamma, …”. 
Giulio mi guardò per un attimo, poi tornò al suo telefilm. Che pena. Ogni volta che incontravo il suo sguardo non potevo non pensare a quello che Giulio era e al figlio che avrebbe invece potuto essere e che non avrei mai avuto.
“Hai fame?”, chiesi. “Preparo la cena, così  quando rientra papà sarà tutto pronto. Che c’è?”.
Quasi sempre le mie domande restavano senza risposta. Me ne andai in cucina per mettere insieme qualcosa da mangiare. Poco dopo Franco telefonò per dire che sarebbe rientrato tardi. Andava a cena con due colleghi, dopo le solite ore di straordinario. Cominciavo a pensare che avesse una relazione, ma stranamente la cosa mi lasciava indifferente. Avevo altro cui pensare. Vivere un’esistenza passabile, decente, nonostante tutto, nonostante Giulio, la solitudine, l'indifferenza di Franco, la stanchezza, la pioggia e l'inverno alle porte. Ma sì, dovevo pur andare avanti. Un pensiero strano, inatteso mi attraversò la mente. Le cose forse potevano cambiare. Non era detto che tutto fosse compiuto, che la mia vita finisse lì, nelle quattro mura del mio dolore, della malattia e  della fatica. Avrei aiutato il mio ragazzone a crescere, per quanto possibile, gli avrei fatto imparare un mestiere in cui potesse utilizzare le sue manie, l'avrei aiutato a gestire i suoi impulsi sessuali, ormai sempre più forti, sempre più frequenti. Pensavo che avrebbero potuto, se indirizzati, se canalizzati nel giusto modo, aiutarlo ad aprirsi, ad avere rapporti con altre persone oltre che con me.

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venerdì 28 febbraio 2020

GIULIO ED IO PARTE II


CAPITOLO IV

Le cose cambiarono un pochino quando Giulio cominciò ad andare all'asilo. Agli inizi, fu un dramma. Ovviamente non voleva stare in classe, essere svegliato al mattino, essere vestito, preparato, uscire di casa, salire in auto, transitare nel traffico, entrare in un ambiente nuovo, chiuso, vedere persone nuove, tutte insieme. Ogni cosa lo metteva in subbuglio. Io me ne rendevo conto, ma ero sfinita.
Indipendentemente dalla scolarizzazione, che doveva pur iniziare, e dai vantaggi che anche lui avrebbe potuto riceverne in futuro, avevo bisogno di liberarmi di Giulio per qualche ora al giorno. O sarei impazzita. Lo sapevo. Mi sentivo terribilmente in colpa, ma non potevo fare altrimenti. Dalla scoperta della malattia ero stata a casa, in aspettativa, e mi ero dedicata quasi esclusivamente a lui. Oltre ai viaggi, ai medici, ai consulti e agli esami, avevo vissuto le mie giornate dedicandomi alle faccende e a lui con amore e abnegazione assoluti. Ero pronta ad accoglierlo tra le mie braccia al risveglio, al mattino, a dargli un bacio, sempre. A volte, Giulio si strofinava a me, mi leccava, mi baciava, mi stringeva. A volte, invece, mi respingeva, correva via, mi calciava, mi graffiava.
Quando al mattino, al primo sguardo, capivo che era una giornata no, mi crollava il mondo addosso. Disperata, avrei voluto battere la testa al muro, dimenarmi come faceva lui, ma mi trattenevo, per trasmettere a tutti, ma soprattutto a lui, serenità ed equilibrio; ricacciavo indietro le lacrime.
Tutta la nostra vita era cambiata.
Il tempo a disposizione per far tutto, in casa e fuori, e il danaro non bastavano mai. C'era bisogno di ogni tipo di aiuto. Mi rendevo conto che io, benché affranta, facevo quel che si doveva fare. L'istinto materno, o la disperazione, o la speranza mi guidavano in tutto.
Lo stesso non era accaduto a Franco. Lui era solo attonito, assente, sconvolto, taciturno. Richiesi il suo aiuto, soprattutto per Aurora. E sembrò darmelo. Capivo che rischiavamo di creare una  frattura in famiglia, non un nucleo ben assortito di mamma, papà, sorellina e fratellino, ma io e Giulio da una parte e Franco e Aurora dall’altra. Ma cosa potevo fare? Era una necessità e non vi era altra via di scampo o  di fuga.
Un giorno Aurora sarebbe divenuta una giovane donna e, forse, me ne avrebbe fatto una colpa. Avevo iniziato a trascurarla e avrei continuato a farlo. Lo stesso facevo nei confronti di mio marito, ma almeno  lui ed io, mi dicevo, eravamo su un piano di parità. Forse si aspettava  da me le stesse attenzioni che io attendevo da lui. Invano. Entrambi, deludendoci e frustrando le legittime aspettative dell'altro.
Intanto, passarono i primi giorni di scuola. Durante le prime due settimane avevano ammesso la mia presenza in aula. Giulio era in una classe mista; gli altri bambini mi avevano preso per una specie di maestra. A meno che lui non avesse delle crisi, restava nel suo cantuccio, canticchiava da solo, giocava con le costruzioni, taceva fissando un punto,  qualcosa presente solo a lui. Cominciai ad allontanarmi dalla classe, gradualmente, sempre più lungo. A volte la cosa funzionava, a volte no. Spesso mi chiamavano a telefono, mentre mi affrettavo in qualche commissione. Dovevo essere reperibile in qualsiasi momento. Quando succedeva, scappavo a scuola e cercavo di prendere in mano la situazione, trovando di volta in volta una soluzione. Lo rassicuravo, lo calmavo. Talvolta ero costretta a riportarlo a  casa con me.

CAPITOLO V

Intanto Aurora cresceva, dolce e matura. Risentiva  della situazione del fratello e se ne dispiaceva, in silenzio. Era divenuta più chiusa,  seriosa. Aveva per lui sguardi amorevoli, a volte, sbigottiti e spaventati. E per me sguardi interrogativi. Ma io le rispondevo col silenzio o con qualche lacrima che, nonostante tutti buoni propositi, mi sgorgava dal cuore, rigando il viso stanco. Altre volte le dicevo qualcosa, per rassicurarla o perché sapesse, prendesse coscienza.
“Cara, Giulio è speciale, lo sai, come te, come me, come papà. Ognuno è speciale a suo modo. Migliorerà, vedrai, crescendo maturerà, potrai giocarci, potrete uscire insieme…”.
Decidemmo in famiglia e col dottore di far trascorrere a Giulio un anno in più alla scuola dell'infanzia, ma venne il giorno della prima elementare. Lo avevamo tanto preparato, caricato, istruito, ma sapevamo tutti di trovarci di fronte ad un'incognita. Non tanto per i contatti con i compagni e i maestri, già sperimentato, ma per il percorso dell'apprendimento.
Aurora frequentava già la quinta e si comportava come una donnina assennata e responsabile, studiosa ed autonoma. Cercava di non dare alcun problema e io me ne rendevo conto. In parte gliene  ero intimamente grata e avrei voluto fare di più per lei, in parte, stremata, ne approfittavo.
Franco continuava la sua silenziosa latitanza. Spesso non dormivamo neanche più insieme. Io tenevo Giulio nel lettone, e a volte anche Aurora.
Lui cominciò ad imparare qualcosa, non voleva leggere e sembrava non amare la matematica, ma scriveva, scarabocchiava, riempiva pagine e pagine di cerchietti, linee, trattini, ossessivamente allineati e perfetti. Quando, dopo le vacanze natalizie, iniziarono a comporre parole e pensierini, lui vergava segni all'incontrario, scriveva da destra verso sinistra oppure come allo specchio. Ovviamente c'era il maestro di sostegno e consultavano spesso uno specialista, ma c'era poco da fare.
“Amore, solo amore”, mi ripeteva il pediatra come un mantra.
Questo era tutto quello di cui Giulio aveva bisogno, l'unica medicina, l'unica esistente, la sola efficace. Ed io gliene davo in quantità. Ma ero preoccupata per il nostro futuro, per Aurora, per il mio rapporto con Franco, per i soldi.
Vivevo il mio lavoro, che intanto avevo ripreso, con fastidio, perché mi sottraeva a lui, ma capivo perfettamente che, per quanto difficile, dovevo cercare di mantenere in equilibrio tutte le tessere del mio complicato mosaico e continuare a costruire il mio puzzle quotidiano con ferrea volontà, accettando ogni evento, giorno per giorno.

CAPITOLO VI

Durante le elementari, cercai di far avvicinare Giulio a qualche sport, ma non vi fu verso.
Aurora seguiva corsi di danza e di nuoto. Portai anche Giulio in piscina, ma non resisteva nell'ambiente troppo riscaldato e non gradiva il contatto con l'acqua, non voleva immergersi col corpo, tantomeno bagnare  il viso. Tentai anche con qualcos'altro, ma non era adatto ai giochi di squadra, né alla disciplina. Nei pomeriggi delle belle giornate cominciammo a fare lunghe passeggiate. Per Giulio divenne una bella, piacevole abitudine. Andavamo al parco, attraversando un paio di isolati molto trafficati. Giulio camminava velocissimo, un piede dietro l'altro, sulle punte, tracciava percorsi netti, simmetrici, calpestava ciottoli, a ritmo sostenuto, mi costringeva a lunghe e faticose scarpinate, che talvolta erano una piacevole distrazione. Una fuga da casa e dai pensieri. Quasi un gioco. Cercavo di non pensare, di calarmi nel momento, di saltellare  lieta dietro a lui.
Intanto, cresceva a vista d’occhio; era molto alto per la sua età. Alto e magro, uno spilungone, con lunghi riccioli neri. Anche Aurora cresceva. Era una ragazzina dolcissima, con capelli lunghi, castano dorati, gli occhi nocciola, con pagliuzze verde oro che si accendevano in sguardi silenti, dolcissimi e interrogativi.
Alla fine delle scuole medie, scelse di frequentare il liceo classico.  Era una ragazza assennata e cercava di non darmi pensieri. A volte tentavo un approccio più intimo, una confidenza, ma era chiusa quanto equilibrata, silenziosa quanto matura, dunque non riuscivo a penetrare a fondo i suoi pensieri e a capire le sue esigenze più intime. Aveva i suoi impegni scolastici, lo sport, le amiche e un filarino di nome Marco, col quale scambiava continuamente messaggi al telefonino.
Finché Giulio poté definirsi un bambino, tutto andò avanti per la strada segnata. La malattia, i controlli, le difficoltà quotidiane, le mie discussioni con Franco.
Io mi sentivo, a volte carica e motivata ad accettare il mio destino, ormai ineluttabile, a volte, affranta, seccata. Avrei voluto fuggire via a lasciare tutto e tutti. Talvolta mi sorprendevo a sognare di poter avere un nuovo amore, di poter essere inebriata da sentimenti, sensazioni, pensieri positivi. E mi vergognavo per queste idee, inadeguate al mio stato, alla mia situazione di madre particolare. Trascuravo ogni altra cosa, ogni altro rapporto, amicale, effettivo, materiale. Ero solo la mamma di Giulio, mi identificavo completamente con questo ruolo, con questa funzione totalizzante.
Mia madre non aveva più una figlia, mio marito non aveva più una moglie, Aurora quasi non aveva più la  mamma. Ed io, cosa più grave di tutte, non avevo più me stessa. Ero come espropriata, alienata da me. Spesso ricevevo i complimenti degli insegnanti o dei medici di Giulio per le cure e le attenzioni incessanti di cui godeva. Ma, del resto, mi sembrava di non avere alternative.
Mia madre tentava di starmi vicino, di aiutarmi come poteva, per evitare che mi annullassi del tutto, per farmi avere qualche attimo di libertà dai miei impegni schiaccianti.
“Cara, organizzati, almeno una sera a settimana, vai a mangiare una pizza con Carla. Posso restare io a casa per una volta. Oppure ci penserà Franco”.
“Va bene, mamma grazie, ci proverò”.
“Vedrai che farà bene a tutti, anche a Franco e Giulio, che avranno modo di stare un po’ insieme, da soli, tra uomini e senza te…”.

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GIUDITTA DI CRISTINZI: NEL DIRITTO

GIUDITTA DI CRISTINZI: NEL DIRITTO: Da circa un anno ho intrapreso una feconda collaborazione con la casa editrice NEL DIRITTO Editore .  Mi hanno conosciuta e contattata pe...
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NEL DIRITTO

Risultato immagini per nel diritto editoreDa circa un anno ho intrapreso una feconda collaborazione con la casa editrice NEL DIRITTO Editore. 
Mi hanno conosciuta e contattata per via delle sentenze di lavoro e previdenza che emetto (e pubblico) nell'esercizio delle mie funzioni di GOT, Giudice Onorario di Tribunale a Cassino. 
Mi hanno richiesto di lavorare alla redazione di un codice del lavoro commentato e io, che adoro fare sempre nuove esperienze  e imbarcarmi in avverture le più disparate, ho accettato. Ovviamente mi sono avvalsa della collaborazione di bravissimi avvocati, i colleghi Alfei, Andreozzi, Marciano e Polselli, in ordine rigorosamente alfabetico, giuristi di prim'ordine, preparati, seri, affidabili, innamorati della materia. 
Man mano, la collaborazione è cresciuta sempre più e oltre al codice abbiamo redatto:


QUIZ E TECNICHE PER PROVA PRESELETTIVA REGIONE LAZIO
MANUALE X CONCORSO PER NAVIGATOR
MANUALE COMPLETO ARTI REGIONE TOSCANA
COMPETENZE TRASVERSALI PROFILI REGIONE EMILIA ROMAGNA
MANUALE COMPLETO CONCORSO REGIONE LAZIO
COMPENDIO DIRITTO DEL LAVORO, SINDACALE E DELLA PREVIDENZA SOCIALE 
MANUALE DEI CONTRASTI




In questo, che è l'ultimo nato, abbiamo trattato il contrasto n. 18, relativo alla obbligazione del corresponsabile solidale, al regime solidale e all'azione di regresso. 

Questa attività è interessante e stimolante, "costringe" allo studio, all'aggiornamento e alla riflessione, in definitiva alla disciplina che è alla base del mio stile di vita pieno, che include lavoro e famiglia, dovere e divertimento, impegno e hobby. 

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giovedì 27 febbraio 2020

CEDOLARE SECCA




FITTASI

Spesso si sente parlare di cedolare secca e non si sa bene cosa sia. 
Intanto va detto che è un regime di tassazione agevolato per i redditi da locazioni immobiliari. 
La “cedolare secca” è un regime facoltativo, che una volta adottato, al momento della stipula del contratto, detemina il pagamento di un’imposta sostitutiva dell’Irpef e delle addizionali.

PRIMO VANTAGGIO: per i contratti stipulati in regime di cedolare secca non si pagano registro e  bollo, ordinariamente dovuti. E non si pagano mai, nè all'atto della prima registrazione, nè in seguito per le successive annualità, per le risoluzioni e le proroghe.

SVANTAGGIO: La scelta della cedolare secca implica la rinuncia alla facoltà di chiedere, per tutta la durata dell’opzione, l’aggiornamento del canone di locazione, anche se  previsto nel contratto, inclusa la variazione accertata dall’Istat dell’indice nazionale dei prezzi al consumo.
N.B. E' possibile optare per la cedolare secca sia alla registrazione del contratto, sia negli anni successivi, in caso di affitti pluriennali. Quando l’opzione non viene esercitata all’inizio, la registrazione segue le regole ordinarie; in questo caso, le imposte di registro e di bollo saranno  dovute e non saranno  più rimborsabili.
In caso di proroga del contratto, è necessario confermare l’opzione della cedolare secca contestualmente alla comunicazione di proroga. La conferma dell’opzione deve essere effettuata entro 30 giorni dalla scadenza del contratto o di una precedente proroga.

Possono optare per il regime della cedolare secca le persone fisiche titolari del diritto di proprietà o del diritto reale di godimento (tipo l'usufrutto), che non locano l’immobile nell’esercizio di un'commerciale, artistica, professionale.

La cedolare  può essere scelta per immobili  con categorie catastali da A1 a A11 


A/1Abitazioni di tipo signorile
A/2Abitazioni di tipo civile
A/3Abitazioni di tipo economico
A/4Abitazioni di tipo popolare
A/5Abitazioni di tipo ultrapopolare
A/6Abitazioni di tipo rurale
A/7Abitazioni in villini
A/8Abitazioni in ville
A/9Castelli, palazzi di eminenti pregi artistici o storici
A/10(Uffici e studi privati *)
A/11Abitazioni ed alloggi tipici dei luoghi

*(esclusa l’A10 - uffici o studi privati),  locate a uso abitativo e per le relative pertinenze, tipo garage, locate insieme all’abitazione, oppure con contratto separato e successivo rispetto a quello relativo all’immobile abitativo, a condizione che il rapporto di locazione intercorra tra le medesime parti contrattuali, nel contratto di locazione della pertinenza si faccia riferimento al quello di locazione dell’immobile abitativo e sia evidenziata la sussistenza del vincolo pertinenziale con l’unità abitativa già locata.
In caso di contitolarità dell’immobile l’opzione deve essere esercitata distintamente da ciascun locatore.
I locatori contitolari che non esercitano l’opzione sono tenuti al versamento dell’imposta di registro calcolata sulla parte del canone di locazione loro imputabile in base alle quote di possesso. Deve essere comunque versata l’imposta di bollo sul contratto di locazione. L’imposta di registro deve essere versata per l’intero importo stabilito nei casi in cui la norma fissa l’ammontare minimo dell’imposta dovuta.
ESTENSIONE. L’opzione per la cedolare secca può essere fatta anche per i contratti di locazione di tipo strumentale stipulati nel 2019. I locali commerciali devono essere classificati nella categoria catastale C/1 e avere una superficie fino a 600 metri quadrati, escluse le pertinenze. 


C/1Negozi e botteghe
C/2Magazzini e locali di deposito
C/3Laboratori per arti e mestieri
C/4Fabbricati e locali per esercizi sportivi (senza fine di lucro)
C/5Stabilimenti balneari e di acque curative (senza fine di lucro)
C/6Stalle, scuderie, rimesse, autorimesse (senza fine di lucro)
C/7Tettoie chiuse od aperte

SECONDO VANTAGGIO, per chi paga le tasse in misura maggiore: l’aliquota che si applica è unica e fissa al  21%.

Il regime della cedolare non può essere applicato ai contratti di locazione conclusi con conduttori che agiscono nell’esercizio di attività di impresa o di lavoro autonomo.

L'opzione può essere esercitata anche per le unità immobiliari abitative, locate nei confronti di cooperative edilizie per la locazione o enti senza scopo di lucro, purché sublocate a studenti universitari e date a disposizione dei comuni con rinuncia all'aggiornamento del canone di locazione o assegnazione.

L’opzione comporta l’applicazione delle regole della cedolare secca per l’intero periodo di durata del contratto (o della proroga) o, nei casi in cui l’opzione sia esercitata nelle annualità successive alla prima, per il residuo periodo di durata del contratto.

Il locatore ha comunque la facoltà di revocare l’opzione in ciascuna annualità contrattuale successiva a quella in cui è stata esercitata. 
La revoca deve essere effettuata entro 30 giorni dalla scadenza dell’annualità precedente e comporta il versamento dell’imposta di registro, eventualmente dovuta.
In caso di proroga del contratto, è necessario confermare l’opzione della cedolare secca contestualmente alla comunicazione di proroga. La conferma dell’opzione deve essere effettuata nel termine previsto per il versamento dell’imposta di registro, cioè entro 30 giorni dalla scadenza del contratto o di una precedente proroga. In caso di risoluzione del contratto, l’imposta di registro non è dovuta se tutti i locatori hanno optato per il regime della cedolare secca. 

L’imposta sostitutiva si calcola applicando un’aliquota del 21% sul canone di locazione annuo stabilito dalle parti.

E’ prevista un’aliquota ridotta al 10% per i contratti di locazione relativi ad abitazioni ubicate a Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino e Venezia e comuni confinanti.
Maggiori informazioni sul sito dell'Agenzia delle Entrate.
alle febbraio 27, 2020 Nessun commento:
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GIULIO ED IO

Giulio ed io è un racconto un po' particolare, che ho scritto pensando a una persona. Tratta un tema delicato e sensibile, quello dei figli con disabilità e delle loro mamme.





Dedicato a tutte le mamme del mondo,
 particolarmente alle mamme di figli speciali

  
CAPITOLO  I

            Mi svegliai nel cuore della notte. C’era tanto vento. Sibilava forte tra i rami. Mi innervosiva. Mi alzai e scesi giù. Il vento scuoteva tutto, anche i miei pensieri. Tutto il mio essere. Minacciava pioggia. Uscii fuori nel buio e raccolsi i panni stesi ad asciugare dal giorno prima. Andai in bagno. Avevo uno stimolo continuo. Cercai di fare un po’ di training, di respirazione, ma invano. Ero completamente preda dell’ansia. Risalii su, andai di nuovo in bagno. Un dolore dietro l’altro. Svegliai Franco.
            “Sto male, è ora di andare.”
            Ci vestimmo in fretta. Franco prese la valigia, ormai pronta da qualche settimana, e andò a prendere mia madre. Fece in un attimo, mentre io mi torcevo dal dolore, sempre più incalzante, sul divano. L’utero si contraeva. Sentivo che voleva liberarsi in fretta. Era il mio secondo figlio e sapevo che avrei avuto un travaglio meno lungo e doloroso che per Aurora. Franco rientrò in casa con mamma, che lasciammo in casa a vegliare sulla piccola.
            “In bocca al lupo, cara, andrà tutto bene, vedrai. Ormai sei una supermamma.”
            “Crepi, mamma, grazie. Ci vediamo domattina. Appena possibile, in orario di visite, mando Franco a prendere te ed Aurora. Ciao.”           
            Arrivammo in ospedale. Ero pronta. Mi sistemarono velocemente e mi portarono direttamente in sala parto.
            “E uno, e due, e tre, alla prossima!”
            Alla seconda spinta venne alla luce il mio Giulio. Fece appena un piccolo nghè. Era piccolo, nero, bagnato, sporco. Tenero tenero. Ero stanca e felice. Avevo coronato tutti i miei sogni di ragazza. Una bella casetta a due piani con un po' di giardino, un marito tranquillo, due figli, una femminuccia e un maschietto, un lavoro.
Pensieri, ricordi, sensazioni mi attraversavano la mente. Mentre lavavano e preparavano Giulio, il dottore sistemò me con due punti di sutura sull'episiotomia. Mi riportarono in camera. Ero stanca morta e chiesi di poter dormire un po’.
Il riposo non durò a lungo e fu solo un leggero dormiveglia. Nella stanza in penombra non ero sola.
Voci, figure, campanelli, sogni, immagini. Alle dodici circa, aprirono le porte del reparto e iniziò la processione delle visite. Mamma con Aurora, Franco con mia suocera, mio fratello, mia sorella, Carla, Anna Rita, ...
Avevo tanta fame, ma non volevo dar fastidio. Avrei aspettato il rancio dell'ospedale e avrei mangiato quello. Sicuramente, pensavo, mi toccherà una dispersione di pastina in brodo della più tipica, ospedaliera e scotta, e una fetta di carne arrosto con insalata. Evviva!
Un bel caffè, ecco cosa volevo davvero. Un caffè bollente per tirarmi su. L’avrei chiesto a Franco se non fosse scivolato via dalla stanza, alla prima occasione, prima degli altri, col pretesto di riaccompagnare la madre a casa. Ma sì, in fondo sapevo che più che il mio compagno era come un altro figlio, il più grande, il più bisognoso di cure, il più insofferente. Lui, il lavoro, il bar e il calcetto. E, naturalmente, la mamma. Il suo mondo era circoscritto in questi angusti confini. Tutto sommato l'avevo sempre saputo. Come sapevo che c'era di peggio nel panorama maschile, dunque dovevo accontentarmi.
Quando tutti furono andati via, la nurse mi portò Giulio, con la sua bella tutina nuova, avvolto in un soffice telo, le manine scure, raggrinzite, chiuse a pugno. Lo presi in braccio e fu subito amore a prima vista e lacrime di commozione. Tirai fuori un seno e glielo offrii e lui, piccino piccino, non tardò a capire. L'odore, forse, lo inebriò prima di ogni cosa, occhi socchiusi, boccuccia secca, trovò il capezzolo e si attaccò, succhiando d’istinto. I nostri ormoni facevano il loro lavoro. L'ossitocina mi stava facendo sciogliere in un rivolo di latte, di rilassatezza, di amore che, nato in quel momento, sarebbe solo cresciuto e non avrebbe visto mai più fine.


CAPITOLO II

Aurora prendeva Giulio per mano  e tentava di portarlo fuori in giardino. Voleva giocare col suo fratellino, ma lui scappava via; non ne voleva sapere. Lei, sempre ciarliera e allegra, faceva l'ultimo anno di asilo. A settembre anche Giulio avrebbe cominciato con la scuola dell'infanzia. Io mi barcamenavo tra loro due, la casa e il lavoro part-time.
Un giorno come tanti, mentre stiravo e li seguivo con lo sguardo, accadde qualcosa di nuovo.
Aurora stava giocando con la sua cucina, con pentoline, piattini, coperchi. Giulio prendeva, ad una ad una, le cose della sorella e le allineava con precisione l'una dietro l'altra, sul bordo del camino spento. Auri  riprendeva le sue pentoline e le risistemava sulla piccola cucina. Giulio, da capo, gliele sottraeva e le riallineava. Cominciarono a litigare. Lui le strappò di mano tutti i piattini, li lanciò a terra, li calpestò, la graffiò in viso e scappò via. Si rifugiò in un angolo della stanza, dietro le tende, accovacciato a terra. Spensi il ferro da stiro e andai da loro. Presi la piccola e la consolai, tenendola tra le braccia.
“E’ cattivo, mamma, Giulio è cattivo”, piagnucolò Aurora.
Lo cercai, alle spalle del divano. Lo trovai  nascosto dietro la tenda, in quello che sarebbe divenuto il suo angolo preferito. Lo sgridai, tentai di sculacciarlo, ma mi fermai presto. Era assente, non un'emozione sul viso bellissimo e scuro, incorniciato da riccioli neri. Aveva uno sguardo vacuo, perso nel vuoto, uno sguardo che cercai invano.
“Che succede?”, mi chiesi.

CAPITOLO III

Gli episodi di assenza di Giulio, le sue improvvise fughe a nascondersi, le liti con Aurora che voleva solo giocare e interagire con il  fratellino, si ripeterono sempre più spesso, durante tutta la primavera. Andammo dal nostro pediatra e poi a Roma, al Bambino Gesù; facemmo esami e visite. Ma io conoscevo già la risposta. L'intuito, il sesto senso di una mamma funziona ancora più di una T.A.C. o di qualsiasi altro esame.
Giulio era autistico. Iniziai a provare una pena infinita. La mia vita e la sua erano segnate per sempre. Giulio aveva cominciato a camminare e a parlare più o meno regolarmente, intorno ad un anno di età. Ora, invece, parlava sempre meno, a volte, era come impietrito. Indicava le cose che voleva, che non poteva raggiungere da solo. Io ero sconvolta, a momenti affranta, a tratti piena di un’ottusa speranza. Cominciai a non dormire bene la notte. Mi alzavo e andavo a vigilare sul suo sonno, mi accertavo che respirasse bene, pensavo, rimuginavo sul perché una cosa del genere fosse capitata proprio a noi. Mi chiedevo cosa avremmo fatto più in là, come si sarebbe evoluta la malattia. Sì, la malattia. Dovevo fare i conti con la realtà, chiamare le cose con nome e cognome. Presi un periodo di aspettativa al lavoro per dedicarmi solo a Giulio e per capire cosa era l'autismo, cosa potevo fare per aiutarlo, perché almeno non  progredisse, non peggiorasse.
Franco, forse, era anche più colpito di me, ma capii subito che, in quella battaglia che la vita aveva ammesso sul nostro cammino, non saremmo stati insieme. Reagì come rifiutando la realtà. Continuò la sua vita di sempre. Al mattino, praticamente,  fuggiva via,  accompagnava Aurora a scuola e andava al lavoro; un paio di pomeriggi alla settimana faceva il rientro in ufficio. In effetti, stava fuori casa sempre di più, sempre più spesso. Faceva gli straordinari o prendeva un po' di lavoretti extra e restava in ufficio, “per arrotondare”, mi diceva.
Il sabato mattina, in genere, ci dedicavamo insieme alla spesa, alle commissioni della settimana, ma un paio di volte Giulio creò tanti di quei problemi al centro commerciale, che perdemmo anche questa abitudine. Franco si imbarazzava per queste scenate in pubblico. Nel pomeriggio di ogni sabato se ne andava a fare la sua immancabile partita di calcetto, qualsiasi cosa fosse accaduto. Io mi sentivo sola. Ero sola.
Mia madre mi aiutava come poteva, soprattutto con Aurora, che aveva capito ormai di avere un fratellino speciale. Non volevo che ne soffrisse troppo, che si sentisse penalizzata, ma  bisognava fare i conti con la realtà e lei li aveva già fatti, in maniera più semplice ed immediata di noi adulti.
I nostri sogni si erano infranti sulla roccia di quella malattia subdola, che non aveva cure, che non aveva regole, né soluzioni.
Aurora presto si rassegnò e cominciò ad assecondare gli strani tempi di Giulio. A volte potevano stare insieme, a volte no. Naturalmente lei non poteva ricevere troppo spesso le amichette a casa perché il fratello si innervosiva dinanzi a qualsiasi novità;  aveva bisogno di tutto il suo tempo, di tutti i suoi spazi. Vuoti.
Alcune giornate trascorrevano più tranquille. Si metteva al suo posto, vicino al camino spento e allineava le  cose, si incantava davanti alla tv o disegnava. Parlottava da solo, canticchiava. Altre volte era nervoso, violento, si sbatteva a terra, non voleva mangiare, non voleva farsi lavare o vestire.
Io andavo avanti alla giornata.

... segue

alle febbraio 27, 2020 1 commento:
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Etichette: GIULIO ED IO, I MIEI RACCONTI, RACCONTI

CORONA VIRUS POLITICA ED ECONOMIA

Questo benedetto o maledetto virus, del quale non avevo voluto scrivere finora, comincia davvero a preoccupare. 
All'inizio ha attaccato la Cina che, è noto, vive sotto un regime, quindi tutti abbiamo legittimamente pensato che le notizie lasciate filtrare non fossero veritiere. 
Poi l'epidemia ha cominciato a propagarsi nei paesi vicini come Corea e Giappone e in Australia, dove peraltro sembrava stessero fattivamente lavorando a un vaccino. 
L'Italia per prima, e  sola in Europa, disponeva il blocco dei voli da e per la Cina. Le autorità cinesi comunicavano il loro disappunto per così dire e sui rapporti diplomatici calava il gelo, fino all'intervento del Presidente Mattarella che da buon padre di famiglia cercava di metterci una pezza. 
Chiacchiere, notizie, opinioni fino a che il virus è arrivato in Italia e si è diffuso velocemente in Lombardia e Veneto, tra l'altro centri economici e produttivi nevralgici del Paese. Il Governo si è subito attivato con una serie di misure draconiane. L'onnipresente premier Conte ha usato qualche parola sbagliata nei confronti delle autorità sanitarie di Codogno e da allora si è scatenata la polemica. 
Tutti i politici cavalcano l'onda per dire la loro e portare acqua al proprio mulino. 
Si registrano i primi casi anche nel resto d'Europa e oltreoceano. Non tutte le autorità statali stanno reagendo nella stessa maniera. Si dice che i casi riscontrati all'estero siano inferiori perché lì sono stati fatti meno esami. Una mia amica mi ha detto che una biologa che lavora allo Spallanzani le ha riferito che il virus è troppo perfetto per essersi creato spontaneamente in natura, è più probabile che sia stato creato in laboratorio. Qualcosa di simile la ventila, al buio, anche la mia estetista. Allora mi scatta la fantasia e decido si scriverci su un racconto, una spy story. Stendo un canovaccio e comincio ad elaborare Corano Virus, dall'anagramma di Corona (amo giocare con le parole e con le lettere e spesso faccio anagrammi). Stamattina le mie amiche del cuore, le colleghe del caffè, riportano un'altra teoria che ha dell'incredibile: da qualcuno sono state colpite Italia e Cina per sabotare i cosiddetti accordi della VIA DELLA SETA. Accidenti al genio che li ha fatti, dicono loro. 
E ancora, l'8 dovevo essere a Torino per una premiazione letteraria al Comune (Donne che pensano... donne che scrivono). Avevo già fatto i biglietti e la mia andata adesso è in forse. Rimborseranno l'acquisto?
Sabato 29 Venus Verticordia, l'associazione culturale di cui faccio parte ha organizzato un pomeriggio in poesia, durante il quale, oltre Paola Caramadre e me, avrebbe dovuto declamare i suoi versi Marco Pelliccioli di Monza che però non verrà, sempre per via del virus. C'è qualcuno che vorrebbe proprio cancellare l'evento, durante il quale io presenterò al pubblico il mio ultimo lavoro, la silloge poetica PETALI e zanzare.
Insomma, a questo punto e considerati tutti i fatti di cui sopra, una riflessione mi s'impone e, come sempre, la scrivo. 
1. La Cina è un gigante potente e mi fa paura sotto molti punti di vista.
2. L'Italia ha fatto bene a disporre subito misure precauzionali e bloccare io voli.
3. Come don Abbondio noi siamo il vaso di coccio tra i vasi di ferro. 
4. Alcuni politici stanno strumentalizzando la cosa e questo lo  trovo  un atto di sciacallaggio disgustoso. 
5. Quando si ricopre una posizione di grande rilievo bisogna stare attenti a quello che si fa e a quello che si dice e a come lo si dice. 
6. Conte dovrebbe smetterla di andare in tutti i programmi TV come una starlett. Sarebbe decoroso che il presidente del Consiglio facesse una conferenza stampa periodica, anche settimanale o giornaliera se occorre, ma che non andasse dalla D'Urso e simili. 
7. Sembra che il virus non sia poi così letale come pensato all'inizio. Se è una semplice influenza, solo nuova e un po' più violenta e forte che può essere letale soltanto per anziani e malati, il panico è ingiustificato. Laviamoci spesso le mani, evitiamo contagi e frequentazioni sospette e andiamo avanti. 
8. Gente sana, ma presa dal panico, intasa ambulatori medici, pronto soccorsi, ospedali, linee telefoniche. 
9. Mi preoccupano molto le ricadute economiche, perché, come è noto, siamo già inguaiati. Locali chiusi, trasporti ridotti, spostamenti diminuiti, serrate, esportazioni limitate, salone del mobile rimandato, clausure ingiustificate porteranno a un calo considerevole del PIL.
10. Fiducia, coerenza e coraggio. Anche questa passerà!
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Etichette: CINA, CONTAGIO, CORONAVIRUS, D'URSO, ECONOMIA, Europa, GIAPPONE, Italia, PRESIDENTE CONTE, TRASPORTI

mercoledì 26 febbraio 2020

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Mi diletto a scrivere un po' di tutto anche se ho le mie preferenze. ... Mia nonna Giuditta che era una donna antica e saggia mi diceva "mittǝt i pann ra fessa ca ...
Hai visitato questa pagina molte volte. Ultima visita: 01/02/20

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