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giovedì 5 marzo 2020

PER LA SERIE: UN'INSERZIONE, TRE RACCONTI FRATELLI DIVERSI

FRATELLI DIVERSI




Ero quasi euforico. Andai in ufficio presto e cercai di liberarmi il prima possibile. Passai dal bar a prendere un latte caldo e mi avviai con l’automobile verso Elbasan. Dopo pochi kilometri, cominciò a nevicare. Entrai nella prima aria di servizio che trovai sulla via e feci montare le catene da neve. Avevo avvertito Erika che non sarei tornato per il pranzo. Avevo tanta voglia di rivedere mio fratello. Speravo davvero stesse meglio. Poverino, povero Gazlind. La sua fragilità di sempre, la sua sensibilità erano state minate alle fondamenta da troppi scossoni. La guerra, i disagi, la morte di mamma e di papà. Eravamo rimasti soli, soli nella nostra grande casa. Adulti, sì, ma segnati dai lutti e dalle scene orribili cui avevamo dovuto assistere. Io avevo ancora gli incubi. Spesso Erika mi svegliava nel cuore della notte:
- Adamat, Adamat, svegliati. Va tutto bene, è finita, stai solo sognando.
Mi svegliavo, l'incubo si dissolveva. Bevevo un po' d'acqua, ma i rospi  che l'inconscio aveva riportato alla memoria non andavano giù. Chissà cosa doveva passare Gazlind  se io stesso stavo ancora così male, mi chiedevo, avanzando verso la meta, con prudenza, considerate le condizioni della strada, man mano che salivo in altitudine. Povero Gazlind. Ma forse, finalmente, ne stavamo venendo fuori. Speravo nell'esito della nuova terapia. L'avrei riportato a casa con me, se non oggi stesso, qualche giorno prima del Natale.
Mio fratello non aveva retto a tutti gli urti della vita, lui, una persona sopra le righe, sempre con la testa tra le nuvole, tra le sue note, sensibile, delicato. Gazlind aveva studiato al conservatorio di Tirana e si era diplomato col massimo dei voti in Pianoforte e Composizione. Solo, schivo, riservato. Eternamente single. Poi era arrivata la guerra. I serbi avevano distrutto le nostre vite, turbato giorni e notti. Avevamo dovuto arruolarci. Gazlind, per orgoglio, per lealtà verso la patria, la famiglia e l'onorabilità del nostro buon nome, non volle nemmeno tentare di essere riformato, di fare il servizio civile ed era partito per il fronte, una settimana prima di me. Per tutto il tempo aveva scritto alla mamma una lettera alla settimana. In coda ad ogni lettera, le aveva dedicato una canzone, una melodia, una sinfonia, motivando la scelta con poche, dolci, appropriate  parole di figlio tenero e devoto. Ma la guerra lo dilaniava dentro. Ogni granata, ogni sparo, ogni esplosione dilaniava un pezzo d'anima di Gazlind. Lui taceva, si isolava sempre più,  incamerava dignitosamente. Ma dentro di lui si era aperta una come voragine, nascosta all'esterno da riserbo e buona educazione. Poi la mamma era stata attinta da una fucilata a tradimento, all'uscita dalla chiesa; papà, l'anno dopo, era stato stroncato da un infarto ed io, fratello più piccolo, avevo cercato di rimettere insieme i pezzi delle nostre vite e di ricominciare tutto da capo con Gazlind.  Iniziai a svolgere la professione di avvocato e a lui procurai  lezioni private. Quando suonava il piano o  insegnava  il solfeggio ai ragazzini, Gazlind si rianimava, riviveva. Lo stimolai a fare il concorso per entrare nell'orchestra del Teatro Nazionale. Aveva difficoltà a studiare, a reggere il ritmo di lezioni, studio ed  esami. Ma riuscì. Gazlind era troppo bravo. Le sue dita volavano sui tasti dando vita ad arie di ogni genere. Al piano il ragazzo magro, sottile, diafano, con i capelli corti e neri e  la pelle chiara e trasparente diveniva tutt’uno con la sua musica, ora forte e fragorosa, ora struggente e leggera, ora potente e penetrante. Acquistava personalità. Intanto, a teatro Gaz aveva conosciuto Mirlinda, un’étoile del corpo di ballo. Si erano innamorati e sposati nel giro di soli sei mesi. Tutto sembrava andare per il meglio, quando Gazlind cominciò ad avere i suoi primi disturbi. A volte si chiudeva in se stesso, a volte aveva crisi quasi convulsive e faceva scenate, oppure accusava malori e restava tutto il giorno a letto. I fantasmi della guerra, che in me  erano quasi dissolti, nella sua testa avevano ripreso corpo, anzi, lo possedevano. Nel giro di due mesi, Gaz perse lavoro e amore. Fu licenziato dal teatro e Mirlinda  lo lasciò, partendo per una tournée. Esplose. Io non capivo come gestire la cosa e lo feci ricoverare. Dopo tre settimane di degenza in ospedale a Tirana, il dottor FUSJI, lo psichiatra  che lo aveva in cura, proposte di tentare a sbloccare la situazione e di praticargli  l'elettroshock. Rimasi perplesso, mi documentari, consultai altri professionisti. Era l'ultima chance per cercare di farlo riavere, di tornare in sé. Così firmai l'autorizzazione.
La mattina fissata per l'intervento ero lì in ospedale per sostenere mio fratello. Fu terribile. Gazlind rimase prostrato e sedato  per tutto il giorno, delirando, nella stanzetta dell'ospedale,  al buio,  con me che gli tenevo la mano, come avrebbero fatto i nostri genitori, se ci fossero stati ancora.
L'indomani ebbi il permesso di portarlo a casa per un periodo di riposo. Dopo qualche settimana di convalescenza, senza grossi risultati, i dottori mi consigliarono di ricoverarlo nell'ospedale psichiatrico di Elbasan per un periodo di riabilitazione.
I pensieri e i ricordi mi avevano fatto compagnia ed intanto ero pressoché arrivato in prossimità dell'ospedale. Avrei prima parlato col dottor Bosi, poi sarei  andato a prendere Gaz per portarlo a fare  un giro nel parco della città e riaccompagnarlo in ospedale,  dopo pranzo, per il pomeriggio.
Quando arrivai in ospedale, il dottore era occupato. L'infermiera mi condusse direttamente nella stanza di Gazlind.
Lo salutai e dopo poche battute rimasi sconcertato. Aveva tra le mani un foglio, un'inserzione scritta a mano, che mi consegnò perché la facessi pubblicare nella Gazeta.

Uniformi militari acquistò fino al 1945 in contanti da privati e commercianti berretti elmettii caschi coloniali elmi colbacchi cavalleria fez cinturoni spalline medaglie frecce distintivi  militari d'epoca fotografie e documenti ecc. max serietà riservatezza telefono 3683225507

- Sto preparando la nostra riscossa, Adamat, io stesso guiderò le truppe e tu sarai il mio secondo, mi disse convinto, con gli occhi spiritati.

Fu un colpo allo stomaco.
No, Gazlind non  era guarito, come avevo sperato all’inizio del mio viaggio. Presi coscienza della cosa in un attimo e lo condussi fuori di lì. Non vi era più alcuna ragione di lasciarlo in ospedale. Sarebbe tornato a casa con me.
Avrei amato per sempre e comunque il mio fratello diverso.




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