FRATELLI DIVERSI
Ero quasi
euforico. Andai in ufficio presto e cercai di liberarmi il prima possibile.
Passai dal bar a prendere un latte caldo e mi avviai con l’automobile verso
Elbasan. Dopo pochi kilometri, cominciò a nevicare. Entrai nella prima aria di
servizio che trovai sulla via e feci montare le catene da neve. Avevo avvertito
Erika che non sarei tornato per il pranzo. Avevo tanta voglia di rivedere mio
fratello. Speravo davvero stesse meglio. Poverino, povero Gazlind. La sua
fragilità di sempre, la sua sensibilità erano state minate alle fondamenta da
troppi scossoni. La guerra, i disagi, la morte di mamma e di papà. Eravamo
rimasti soli, soli nella nostra grande casa. Adulti, sì, ma segnati dai lutti e
dalle scene orribili cui avevamo dovuto assistere. Io avevo ancora gli incubi.
Spesso Erika mi svegliava nel cuore della notte:
- Adamat,
Adamat, svegliati. Va tutto bene, è finita, stai solo sognando.
Mi svegliavo,
l'incubo si dissolveva. Bevevo un po' d'acqua, ma i rospi che l'inconscio aveva riportato alla memoria
non andavano giù. Chissà cosa doveva passare Gazlind se io stesso stavo ancora così male, mi
chiedevo, avanzando verso la meta, con prudenza, considerate le condizioni
della strada, man mano che salivo in altitudine. Povero Gazlind. Ma forse,
finalmente, ne stavamo venendo fuori. Speravo nell'esito della nuova terapia.
L'avrei riportato a casa con me, se non oggi stesso, qualche giorno prima del
Natale.
Mio fratello non
aveva retto a tutti gli urti della vita, lui, una persona sopra le righe,
sempre con la testa tra le nuvole, tra le sue note, sensibile, delicato. Gazlind
aveva studiato al conservatorio di Tirana e si era diplomato col massimo dei
voti in Pianoforte e Composizione. Solo, schivo, riservato. Eternamente single.
Poi era arrivata la guerra. I serbi avevano distrutto le nostre vite, turbato
giorni e notti. Avevamo dovuto arruolarci. Gazlind, per orgoglio, per lealtà
verso la patria, la famiglia e l'onorabilità del nostro buon nome, non volle nemmeno
tentare di essere riformato, di fare il servizio civile ed era partito per il
fronte, una settimana prima di me. Per tutto il tempo aveva scritto alla mamma
una lettera alla settimana. In coda ad ogni lettera, le aveva dedicato una
canzone, una melodia, una sinfonia, motivando la scelta con poche, dolci,
appropriate parole di figlio tenero e
devoto. Ma la guerra lo dilaniava dentro. Ogni granata, ogni sparo, ogni esplosione
dilaniava un pezzo d'anima di Gazlind. Lui taceva, si isolava sempre più, incamerava dignitosamente. Ma dentro di lui
si era aperta una come voragine, nascosta all'esterno da riserbo e buona
educazione. Poi la mamma era stata attinta da una fucilata a tradimento,
all'uscita dalla chiesa; papà, l'anno dopo, era stato stroncato da un infarto
ed io, fratello più piccolo, avevo cercato di rimettere insieme i pezzi delle
nostre vite e di ricominciare tutto da capo con Gazlind. Iniziai a svolgere la professione di avvocato
e a lui procurai lezioni private. Quando
suonava il piano o insegnava il solfeggio ai ragazzini, Gazlind si
rianimava, riviveva. Lo stimolai a fare il concorso per entrare nell'orchestra
del Teatro Nazionale. Aveva difficoltà a studiare, a reggere il ritmo di lezioni,
studio ed esami. Ma riuscì. Gazlind era
troppo bravo. Le sue dita volavano sui tasti dando vita ad arie di ogni genere.
Al piano il ragazzo magro, sottile, diafano, con i capelli corti e neri e la pelle chiara e trasparente diveniva tutt’uno
con la sua musica, ora forte e fragorosa, ora struggente e leggera, ora potente
e penetrante. Acquistava personalità. Intanto, a teatro Gaz aveva conosciuto Mirlinda,
un’étoile del corpo di ballo. Si erano innamorati e sposati nel giro di soli
sei mesi. Tutto sembrava andare per il meglio, quando Gazlind cominciò ad avere
i suoi primi disturbi. A volte si chiudeva in se stesso, a volte aveva crisi
quasi convulsive e faceva scenate, oppure accusava malori e restava tutto il
giorno a letto. I fantasmi della guerra, che in me erano quasi dissolti, nella sua testa avevano
ripreso corpo, anzi, lo possedevano. Nel giro di due mesi, Gaz perse lavoro e
amore. Fu licenziato dal teatro e Mirlinda lo lasciò, partendo per una tournée. Esplose.
Io non capivo come gestire la cosa e lo feci ricoverare. Dopo tre settimane di
degenza in ospedale a Tirana, il dottor FUSJI, lo psichiatra che lo aveva in cura, proposte di tentare a
sbloccare la situazione e di praticargli l'elettroshock. Rimasi perplesso, mi
documentari, consultai altri professionisti. Era l'ultima chance per cercare di
farlo riavere, di tornare in sé. Così firmai l'autorizzazione.
La mattina
fissata per l'intervento ero lì in ospedale per sostenere mio fratello. Fu
terribile. Gazlind rimase prostrato e sedato per tutto il giorno, delirando, nella
stanzetta dell'ospedale, al buio, con me che gli tenevo la mano, come avrebbero
fatto i nostri genitori, se ci fossero stati ancora.
L'indomani
ebbi il permesso di portarlo a casa per un periodo di riposo. Dopo qualche
settimana di convalescenza, senza grossi risultati, i dottori mi consigliarono
di ricoverarlo nell'ospedale psichiatrico di Elbasan per un periodo di
riabilitazione.
I pensieri e i ricordi mi avevano
fatto compagnia ed intanto ero pressoché arrivato in prossimità dell'ospedale.
Avrei prima parlato col dottor Bosi, poi sarei andato a prendere Gaz per portarlo a fare un giro nel parco della città e riaccompagnarlo
in ospedale, dopo pranzo, per il
pomeriggio.
Quando arrivai
in ospedale, il dottore era occupato. L'infermiera mi condusse direttamente
nella stanza di Gazlind.
Lo salutai e dopo poche battute
rimasi sconcertato. Aveva tra le mani un foglio, un'inserzione scritta a mano,
che mi consegnò perché la facessi pubblicare nella Gazeta.
Uniformi militari acquistò
fino al 1945 in
contanti da privati e commercianti berretti elmettii caschi coloniali elmi
colbacchi cavalleria fez cinturoni spalline medaglie frecce distintivi militari d'epoca fotografie e documenti ecc.
max serietà riservatezza telefono 3683225507
- Sto
preparando la nostra riscossa, Adamat, io stesso guiderò le truppe e tu sarai
il mio secondo, mi disse convinto, con gli occhi spiritati.
Fu un colpo
allo stomaco.
No, Gazlind
non era guarito, come avevo sperato
all’inizio del mio viaggio. Presi coscienza della cosa in un attimo e lo condussi
fuori di lì. Non vi era più alcuna ragione di lasciarlo in ospedale. Sarebbe
tornato a casa con me.
Avrei amato
per sempre e comunque il mio fratello diverso.
Nessun commento:
Posta un commento