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giovedì 12 marzo 2020

TALEBANA D'AMORE L'EPILOGO


Risultato immagini per parigi
...SEGUE 
Sabato mattina mi svegliai presto ed uscì a fare colazione. Lasciai Rossella che dormicchiava. Ci ritrovammo nella hall dell'albergo solo verso le 10.30. Era gasatissima.
- Guarda mi ha mandato un SMS. “Mi ha fatto piacere conoscerti. Mi piacerebbe rivederti”.-
- Oddio, e non dirmi che gli hai risposto. Andiamo al Louvre, smettila.-
- Laura, gli ho risposto. Lo vedo tra un'ora. Non mi dire  niente. È la mia vita. Siamo sole qui, solo tu ed io. Per un giorno sono libera e voglio essere solo me stessa e fare una cosa che mi fa piacere e basta-.
Controbattere sarebbe stato inutile. Rossella aveva deciso di vivere il weekend parigino a modo suo. Nulla avrebbe potuto fermarla. Forse solo Roberto in carne ed ossa, ma non il pensiero di lui. Si erano fatti troppo male, a vicenda, negli ultimi tempi. Litigavano in continuazione. E se io non facevo qualcosa del genere, né lo desideravo, era solo perché sono fondamentalmente diversa, pigra, passiva, schematica. E perché ho tanta paura di soffrire. Rossella, invece, era sempre stata una donna inquieta. Generosa, sveglia, vivace, passionale, problematica, cervellotica, imprevedibile, volubile. Gli anni erano passati. Lei aveva fatto scelte di vita adulta, aveva rinunciato a tante cose per il lavoro e per la famiglia. Ma, nel profondo di sé, credeva di  aver solo adempiuto ad una sorta di mandato sociale e familiare. È una persona fuori le righe. A suo modo geniale e contraddittoria. Era stata profondamente innamorata di Roberto. Me lo ricordavo bene. Ma ora qualcosa tra loro si era spezzato. Quella specie di contratto stipulato quasi venti anni prima, si era rivelato insoddisfacente per lei. Quante volte mi aveva detto e ripetuto che non aveva funzionato, che lei aveva dato e fatto tutto ciò che ci si aspettava da lei, ma che non aveva ricevuto altrettanto. Ed era delusa, dispiaciuta, ma anche arrabbiata, come se Roberto l'avesse truffata, come se le avesse tolto qualcosa a tradimento. Con la metro arrivammo alla stazione del  Louvre e ci sedemmo all'aperto, fuori da un bar, a prendere un caffè. Io volevo rivedere con calma tutto il museo. Lei avrebbe fatto la sua passeggiata con questo Jean Claude. Alle 11.30 precise lo vedemmo spuntare dall'uscita della metro, di fronte a noi, vestito in maniera più formale che il giorno prima. Aveva una camicia a righini sul rosa, leggermente sbottonata e senza cravatta, jeans e scarpe sportive, con  una giacca blu chiaro su. Lo invitammo a sedere con noi, ma lui propose di andare. Li salutai e li vidi allontanarsi nel viale, sotto i platani. Subito dopo si diedero la mano. Poi lui le mise un braccio intorno alle spalle. Rossella si rifugiò, si rilassò in quell'abbraccio e insieme sparirono all'orizzonte.
* * * * *
- Allacciate le cinture di sicurezza e chiudete i tavolini di fronte a voi, s’il vous plait-, raccomandò un'hostess truccatissima e attempata.
- Ross, ti prego, spegni il cellulare, smettila, torna in te. Tra poco saremo a casa.- Rossella mi guardò con gli occhi pieni di lacrime.
- Guarda, guarda che SMS  mi ha mandato... “Plus une chose est parfaite, d'autant plus parce que le plaisir et la douleur”. Quanto più una cosa è perfetta, tanto più causa piacere e dolore. Dio, Laura, Jean Claude è una persona meravigliosa. Come posso tornare a casa e far finta di nulla? È stato tutto così, ... così bello.-
- Rossella, se ti ho permesso di fare una cosa del genere è perché sapevo come tu fossi in crisi. Ho pensato che, in fondo, una distrazione ti avrebbe fatto bene. Ma ora basta. È finita. Tienilo con un bel ricordo, un segreto tra noi, come quando eravamo ragazze. Una cosa bella cui pensare quando sei giù.-
- Tu non mi capisci.-
- Ti capisco, ma così non va, cara, sei caduta in una storia impossibile. E lo sai.-
- Come farò, come farò ora.-
Decollammo e mentre io pensavo al rientro a casa, Rossella guardava giù. Parigi si allontanava e si faceva sempre più piccola. Anche il ricordo avrebbe dovuto  affievolirsi col tempo, come il panorama  rimpiccioliva con la distanza, ma la mia amica era preda dei suoi fumi. Non la vedevo così da tanto tempo. Tutto il viaggio di ritorno fu racconto, lacrime, pensieri, domande, evocazioni, attimo per attimo, di quelle magiche ventiquattrore trascorse con Jean Claude. Mi raccontò tutto, ma non per mettermi a parte dei suoi segreti, quanto piuttosto per fissare nella sua memoria ogni attimo.
Jean Claude l'aveva abbracciata ed aveva subito cominciato a parlarle. Si erano detti tutto l'uno dell'altra, per quanto possibile in poche ore. Lui aveva 51 anni e di cognome faceva Peeters, come il padre, un belga che non vedeva da più di trent'anni. La madre e il padre si erano separati quando lui e la sorella erano piccoli. Ne aveva tanto sofferto. La madre,  parigina doc, li aveva tirati su da sola, con mille sacrifici. Lui aveva cominciato a lavorare a diciassette anni, continuando a studiare. Si era laureato. Ora lavorava in un'ottima compagnia di servizi alberghieri, dov'era stimato e ben pagato. Era un immobiliarista, o meglio così si era definito. Forse, aveva pensato Rossella, comprava immobili, per colmare le sue insicurezze di ragazzo. Per un lungo periodo, intorno ai quarant'anni, aveva lavorato nel Canada francese, dove aveva comprato una casa. Altri due appartamenti li aveva a Parigi, in centro, uno a villa Montmorency, in ristrutturazione, dove si sarebbe trasferito in estate, un altro al Marais.  Jean Claude era single,  aveva la passione per il cinema e per l'italiano. Da autodidatta aveva imparato a parlare piuttosto bene.
- È stato come se lo avessi conosciuto da sempre. Credevo che i francesi fossero più chiusi, più riservati rispetto a noi italiani, invece mi ha detto tutto di sé, con naturalezza, con tanta voglia di parlare, di aprirsi. Subito dopo esserci incontrati, ha chiamato un taxi e mi ha detto che mi avrebbe portata in un caffè chic, dove si beveva un buon espresso all'italiana. Entrati nel locale, mi ha fatto sedere, mi ha preso la mano e  ha continuato a parlarmi. Mi ha mostrato un anello d'oro, che portava al mignolo della mano destra, con le sue iniziali, ultimo regalo della madre anziana. Anch'io ho cominciato a parlargli di me, del mio matrimonio triste, arido, degli egoismi di Roberto, delle sue assenze, del mio daffare quotidiano, della mia solitudine. Però ero perplessa. Non ho mai tradito. “Must be happy”, mi ha detto lui con candore, con convinzione. Siamo usciti dal caffè, mano nella mano. Ci siamo fermati ad un semaforo ad aspettare il verde per attraversare, ci siamo guardati negli occhi e ci siamo dati un bacio. Laura, mi sono persa in quel bacio. Ho perso la nozione del tempo, dello spazio. Quando ho riaperto gli occhi, gli ho detto: “Andiamo a casa tua”.
“Vuoi venire da me? Sicuro?”, mi ha chiesto appena sorpreso.
“Si”.
Siamo passati dall'altro lato della strada. Ha chiamato un taxi, ha dato l'indirizzo. Ci siamo seduti ed io ho cominciato a toccarlo, ho infilato le dita tra i bottoni della camicia, ho preso a sfiorargli il petto. Ho perso la testa completamente. Appena arrivati, siamo scesi, ero come inebriata. Ha cercato le chiavi del portone. Ingresso, scale strette, porte, ancora scale, ancora chiavi. Finalmente ha aperto, siamo entrati ed è stato di una tenerezza unica.
 “Sai, è la casa di un uomo solo, di uno scapolo, c'è disordine”.
Sono entrata nella sua stanza,  in penombra, ho slacciato le scarpe, lo lasciate in un angolo. Poi ci siamo avvicinati sul lettone bianco e ci siamo spogliati completamente, con foga. Lui ha cominciato a baciarmi dappertutto ed io mi sono sciolta, persa in un piacere dimenticato o mai provato prima, non so. Abbiamo provato una, due, tre volte,  ma lui non è riuscito.
“Scusa, sono emozionato.”
Poi si è abbandonato a me ed ha letteralmente perso i sensi, ripetendo qualcosa di incomprensibile, mentre io facevo tutto da sola. Ci siamo trattenuti un po' sotto il piumone. Mi ha sussurrato nell'orecchio parole dolci, in francese, sfiorandomi la pelle, graffiandomi dolcemente, muovendo le unghie e i polpastrelli in circolo.
“Ma chère, mon amour, c’è feeling, n’est ce pas?”.
“Oui, c’è feeling, come faremo? Come farò?”.
Dio, Laura. È stato così, così... Alle tre dovevo ritrovarmi con te  in albergo. Gli  ho chiesto di accompagnarmi, così ci siamo preparati e siamo venuti in hotel. Poi  non ricordo più nulla. So solo che abbiamo preso la metro. Ci siamo seduti,  io mi sono appoggiata al suo petto, come incantata. Lui mi lisciava i capelli in silenzio.-
- Rossella, hai fatto bene, non dico di no. Ti sei concesso un bel momento, di pura evasione, ma ora non devi pensarci più, devi andare avanti. Devi guardare alla tua vita, a casa, a Roberto. Devi pensare a quello che di lui ti piace, che ti è sempre piaciuto, quello che ha fatto innamorare.-
- Non lo so più, ora mi fa solo arrabbiare, ho lasciato correre troppe cose, per troppo tempo.-
- Ma che vorresti fare, lasciare tutto e tutti e correre dal tuo Jean Claude? Lasciare le ragazze, vivere a Parigi, sola con lui o pensi che ti seguirebbero? Ragiona. E poi credi che Jean Claude ti vorrebbe a Parigi con sé?
- Uffa, ragiona, ragiona. E quello che mi ha ripetuto lui stamattina. Che dobbiamo ragionare, che siamo persone adulte .-
- Vedi, anche lui ti dice di essere razionale, di mettere da parte le emozioni. In poche ore, ha cambiato registro.-
- Forse, ma se è davvero una persona affidabile e coscienziosa come credo, come sembra, cos'altro dovrebbe dire? Però è stato lui, quando ieri alle tre mi ha riaccompagnato in albergo, a chiedermi di dormire insieme. Ed è stato magico. Mi sono sentita così in colpa con te, Laura. Ti lasciata da sola per tanto tempo.-
- Non importa. Siamo stati insieme abbastanza. Tutto il pomeriggio di ieri e poi a cena. Ma mi rendevo conto che eri troppo inquieta, che morivi dalla voglia di rivederlo.-
- Sì, è vero, non resistevo, non volevo perdere un solo minuto. Scusami.-
- Ma dai. Mi avete ficcato in quel taxi e voi, dove siete andati?-
- Oh, da nessuna parte. Anch'io credevo mi portasse in un locale, a bere qualcosa. Ma abbiamo preso la metro e siamo andati subito da lui. In casa, aveva lasciato le luci e la tv accese su un canale  italiano. Ci siamo seduti sul divano e ha cominciato di nuovo a parlarmi di sé. Mi ha detto tante cose;  poi ha tirato fuori dal frigo una bottiglia di champagne.
“Ti va di bere qualcosa? Sai,  solo per rilassarci un po'”.
“Sì, certo.”
Poi ci siamo messi a letto, verso le  due,  dopo aver chiacchierato tanto. Abbiamo fatto l'amore a lungo. Lui era disteso,  tranquillo e mi è sembrato bravissimo, esperto. Nulla era casuale. Credo non fosse solo l'esperienza del cinquantenne, ma le sue riflessioni, le sue letture, l’attenzione per me. In un angolo della stanza aveva una libreria piena di volumi, anche in italiano. Poi ci siamo addormentati, così, nudi e abbracciati. Anzi, in realtà, io non ho dormito affatto. Ero così presa, così ansiosa. Avevo caldo, avevo freddo. Gli ho dato il tormento per tutta la notte, credo, ma lui è stato così opportuno in tutto. Oh, Laura, non puoi capire. Come farò?-
- Ma come farai Ross. È stata un'avventura, un flirt. Basta, è finita, andata. Stamattina ti ha riportato in hotel e vi siete salutati, stop. Chiuso. Dai, stiamo atterrando.-
Dopo pochi minuti atterrammo a Roma. Rossella mi accompagnò a casa con la sua macchina e rientrò.
Ebbe per giorni un umore  altalenante. Ci sentivamo spesso. A volte guardava finanche le figlie con  senso di fastidio. Le riteneva in qualche modo responsabili delle sue rinunce. Altre volte guardava la sua bella casa con giardino e pensava che tutto ciò che aveva in fondo era meglio di quel che avrebbe potuto avere con Jean Claude. Lui le aveva detto di dover lavorare ancora per circa dieci, dodici anni,  poi aveva intenzione di vivere un po' Parigi,  un po' in Canada, un po' di Costa azzurra, dove stava acquistando un'altra casa. Rossella era affascinata da tutto ciò. Si immaginava già come la  matura signora Peeters, cosmopolita, pronta a girare il mondo, ad arredare le case di Jean Claude, a  parlare in francese o in inglese. Continuò a tartassarlo con telefonate, messaggi e mail, fin a quando lui smise di rispondere.
Lei, un po' a causa delle continue liti con Roberto e della sua infantile delusione, un po' a causa del  temperamento romantico, gli scriveva cose eccessive, assurde. Con me si confidava, ma credo, per pudore,  solo in parte. Faceva riferimenti assurdi a Madame Bovary, ad Anna Karenina, alla passione bruciante che provava, simile ad Attrazione fatale. Il poverino le rispose in modo molto sensato e  sempre più laconico.
“Dobbiamo ragionare, grazie delle belle parole, grazie di tutti i tuoi complimenti, non credo di meritarli. Non sappiamo se, frequentandoci, se stando insieme, saremmo andati d'accordo... . Devi pensare alle tue figlie... . Non voglio essere la causa della tua rovina”.
Gli inopportuni riferimenti letterari alle sue eroine, suicide per passione, avevano colto nel segno o, meglio, avevano messo in fuga il bel francese. Ma Rossella è un'integralista d'amore. È stata così. Per lei non ci sono  mezze misure.
Voleva tutto, tutto subito. Per tutta la sua inquieta e tormentosa estate, continuò a mandargli messaggi eccessivi, messaggi che rimasero puntualmente senza risposta. Grazie a Dio, il belga aveva buon senso per tutti e due o, forse, era spaventato dall'enfasi di Rossella e dall'idea di potersi scontrare  con un geloso marito italiano. Rossella e Roberto continuarono a litigare. Lei tirò fuori tutto il veleno, tutto il rancore accumulato in venti anni. Rinfacciò a Roberto le sue uscite, i suoi viaggi da scapolo, le sue disattenzioni. Lui si sentì colpito, ferito, seccato, dispiaciuto e colpevole. Si difese, poi  reagì chiudendosi a riccio.
Le cose sembravano dover precipitare da un momento all'altro.
Io, da buona amica, cercai di parlare con entrambi, di ricordare le loro responsabilità di genitori e i bei tempi andati, il loro amore dei primi giorni, l'elettricità che sprigionavano. Poi chiesi a Nicola di parlare con Roberto, da uomo ad uomo.
Una sera Rossella mi invitò ad uscire a cena.
I nostri mariti erano presi dalle partite di Champion.
- Sai, mi disse Rossella, abbiamo parlato. Roberto ha smesso di resistermi, di controbattere. Mi ha detto che cercherà di starmi più vicino, di essere più presente in casa. Vogliamo andare avanti. Cercheremo di ritagliarci un po' di tempo per noi, tra i tanti impegni di lavoro e di famiglia. Ed io ho capito che lo amo ancora. Amo solo lui, così diverso da me. Jean Claude è stato solo un vento di primavera. Nulla in sé e per sé, ma solo l'occasione che mi ha risvegliata all'amore, alla passione, che mi ha fatto sentire di nuovo donna, desiderata, viva. Ma questa cosa, la voglio vivere solo con mio marito.-          - Sono felice per te Rossella. Non poteva andare meglio. Hai combattuto, hai strillato, litigato, recriminato. Volevi  tutto o niente e hai vinto. Alla fine hai avuto ragione tu. Talebana  d'amore. -

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Quiete serena

Mentre i giorni d'autunno si inseguono, io sto. Sto bene, ferma nel mio sole di novembre, a godermi l'amore sempiterno di mio marito...