...SEGUE
Sabato mattina mi svegliai presto ed uscì a fare colazione. Lasciai
Rossella che dormicchiava. Ci ritrovammo nella hall dell'albergo solo verso le
10.30. Era gasatissima.
- Guarda mi ha mandato un SMS. “Mi ha fatto piacere conoscerti. Mi
piacerebbe rivederti”.-
- Oddio, e non dirmi che gli hai risposto. Andiamo al Louvre, smettila.-
- Laura, gli ho risposto. Lo vedo tra un'ora. Non mi dire niente. È la mia vita. Siamo sole qui, solo
tu ed io. Per un giorno sono libera e voglio essere solo me stessa e fare una
cosa che mi fa piacere e basta-.
Controbattere sarebbe stato inutile. Rossella aveva deciso di vivere il
weekend parigino a modo suo. Nulla avrebbe potuto fermarla. Forse solo Roberto
in carne ed ossa, ma non il pensiero di lui. Si erano fatti troppo male, a
vicenda, negli ultimi tempi. Litigavano in continuazione. E se io non facevo
qualcosa del genere, né lo desideravo, era solo perché sono fondamentalmente
diversa, pigra, passiva, schematica. E perché ho tanta paura di soffrire.
Rossella, invece, era sempre stata una donna inquieta. Generosa, sveglia,
vivace, passionale, problematica, cervellotica, imprevedibile, volubile. Gli
anni erano passati. Lei aveva fatto scelte di vita adulta, aveva rinunciato a
tante cose per il lavoro e per la famiglia. Ma, nel profondo di sé, credeva
di aver solo adempiuto ad una sorta di
mandato sociale e familiare. È una persona fuori le righe. A suo modo geniale e
contraddittoria. Era stata profondamente innamorata di Roberto. Me lo ricordavo
bene. Ma ora qualcosa tra loro si era spezzato. Quella specie di contratto
stipulato quasi venti anni prima, si era rivelato insoddisfacente per lei.
Quante volte mi aveva detto e ripetuto che non aveva funzionato, che lei aveva
dato e fatto tutto ciò che ci si aspettava da lei, ma che non aveva ricevuto
altrettanto. Ed era delusa, dispiaciuta, ma anche arrabbiata, come se Roberto
l'avesse truffata, come se le avesse tolto qualcosa a tradimento. Con la metro
arrivammo alla stazione del Louvre e ci
sedemmo all'aperto, fuori da un bar, a prendere un caffè. Io volevo rivedere
con calma tutto il museo. Lei avrebbe fatto la sua passeggiata con questo Jean
Claude. Alle 11.30 precise lo vedemmo spuntare dall'uscita della metro, di
fronte a noi, vestito in maniera più formale che il giorno prima. Aveva una
camicia a righini sul rosa, leggermente sbottonata e senza cravatta, jeans e
scarpe sportive, con una giacca blu
chiaro su. Lo invitammo a sedere con noi, ma lui propose di andare. Li salutai
e li vidi allontanarsi nel viale, sotto i platani. Subito dopo si diedero la
mano. Poi lui le mise un braccio intorno alle spalle. Rossella si rifugiò, si rilassò
in quell'abbraccio e insieme sparirono all'orizzonte.
* * * * *
- Allacciate le cinture di sicurezza e chiudete i tavolini di fronte a
voi, s’il vous plait-, raccomandò un'hostess truccatissima e attempata.
- Ross, ti prego, spegni il cellulare, smettila, torna in te. Tra poco
saremo a casa.- Rossella mi guardò con gli occhi pieni di lacrime.
- Guarda, guarda che SMS mi ha
mandato... “Plus une chose est
parfaite, d'autant plus parce que le plaisir et la douleur”. Quanto più
una cosa è perfetta, tanto più causa piacere e dolore. Dio, Laura, Jean Claude
è una persona meravigliosa. Come posso tornare a casa e far finta di nulla? È
stato tutto così, ... così bello.-
- Rossella, se ti ho permesso di fare una cosa del genere è perché sapevo
come tu fossi in crisi. Ho pensato che, in fondo, una distrazione ti avrebbe
fatto bene. Ma ora basta. È finita. Tienilo con un bel ricordo, un segreto tra
noi, come quando eravamo ragazze. Una cosa bella cui pensare quando sei giù.-
- Tu non mi capisci.-
- Ti capisco, ma così non va, cara, sei caduta in una storia impossibile.
E lo sai.-
- Come farò, come farò ora.-
Decollammo e mentre io pensavo al rientro a casa, Rossella guardava giù.
Parigi si allontanava e si faceva sempre più piccola. Anche il ricordo avrebbe
dovuto affievolirsi col tempo, come il panorama rimpiccioliva con la distanza, ma la mia
amica era preda dei suoi fumi. Non la vedevo così da tanto tempo. Tutto il
viaggio di ritorno fu racconto, lacrime, pensieri, domande, evocazioni, attimo
per attimo, di quelle magiche ventiquattrore trascorse con Jean Claude. Mi
raccontò tutto, ma non per mettermi a parte dei suoi segreti, quanto piuttosto
per fissare nella sua memoria ogni attimo.
Jean Claude l'aveva abbracciata ed aveva subito cominciato a parlarle. Si
erano detti tutto l'uno dell'altra, per quanto possibile in poche ore. Lui
aveva 51 anni e di cognome faceva Peeters, come il padre, un belga che non
vedeva da più di trent'anni. La madre e il padre si erano separati quando lui e
la sorella erano piccoli. Ne aveva tanto sofferto. La madre, parigina doc, li aveva tirati su da sola, con mille
sacrifici. Lui aveva cominciato a lavorare a diciassette anni, continuando a
studiare. Si era laureato. Ora lavorava in un'ottima compagnia di servizi
alberghieri, dov'era stimato e ben pagato. Era un immobiliarista, o meglio così
si era definito. Forse, aveva pensato Rossella, comprava immobili, per colmare
le sue insicurezze di ragazzo. Per un lungo periodo, intorno ai quarant'anni,
aveva lavorato nel Canada francese, dove aveva comprato una casa. Altri due
appartamenti li aveva a Parigi, in centro, uno a villa Montmorency, in
ristrutturazione, dove si sarebbe trasferito in estate, un altro al Marais. Jean Claude era single, aveva la passione per il cinema e per
l'italiano. Da autodidatta aveva imparato a parlare piuttosto bene.
- È stato come se lo avessi conosciuto da sempre. Credevo che i francesi
fossero più chiusi, più riservati rispetto a noi italiani, invece mi ha detto
tutto di sé, con naturalezza, con tanta voglia di parlare, di aprirsi. Subito
dopo esserci incontrati, ha chiamato un taxi e mi ha detto che mi avrebbe
portata in un caffè chic, dove si beveva un buon espresso all'italiana. Entrati
nel locale, mi ha fatto sedere, mi ha preso la mano e ha continuato a parlarmi. Mi ha mostrato un
anello d'oro, che portava al mignolo della mano destra, con le sue iniziali,
ultimo regalo della madre anziana. Anch'io ho cominciato a parlargli di me, del
mio matrimonio triste, arido, degli egoismi di Roberto, delle sue assenze, del
mio daffare quotidiano, della mia solitudine. Però ero perplessa. Non ho mai
tradito. “Must be happy”, mi ha detto lui con candore, con convinzione. Siamo
usciti dal caffè, mano nella mano. Ci siamo fermati ad un semaforo ad aspettare
il verde per attraversare, ci siamo guardati negli occhi e ci siamo dati un
bacio. Laura, mi sono persa in quel bacio. Ho perso la nozione del tempo, dello
spazio. Quando ho riaperto gli occhi, gli ho detto: “Andiamo a casa tua”.
“Vuoi venire da me? Sicuro?”, mi ha chiesto appena sorpreso.
“Si”.
Siamo passati dall'altro lato della strada. Ha chiamato un taxi, ha dato
l'indirizzo. Ci siamo seduti ed io ho cominciato a toccarlo, ho infilato le
dita tra i bottoni della camicia, ho preso a sfiorargli il petto. Ho perso la
testa completamente. Appena arrivati, siamo scesi, ero come inebriata. Ha
cercato le chiavi del portone. Ingresso, scale strette, porte, ancora scale,
ancora chiavi. Finalmente ha aperto, siamo entrati ed è stato di una tenerezza
unica.
“Sai, è la casa di un uomo solo,
di uno scapolo, c'è disordine”.
Sono entrata nella sua stanza, in
penombra, ho slacciato le scarpe, lo lasciate in un angolo. Poi ci siamo
avvicinati sul lettone bianco e ci siamo spogliati completamente, con foga. Lui
ha cominciato a baciarmi dappertutto ed io mi sono sciolta, persa in un piacere
dimenticato o mai provato prima, non so. Abbiamo provato una, due, tre volte, ma lui non è riuscito.
“Scusa, sono emozionato.”
Poi si è abbandonato a me ed ha letteralmente perso i sensi, ripetendo
qualcosa di incomprensibile, mentre io facevo tutto da sola. Ci siamo
trattenuti un po' sotto il piumone. Mi ha sussurrato nell'orecchio parole
dolci, in francese, sfiorandomi la pelle, graffiandomi dolcemente, muovendo le
unghie e i polpastrelli in circolo.
“Ma chère, mon amour,
c’è feeling, n’est ce pas?”.
“Oui, c’è feeling, come faremo? Come farò?”.
Dio, Laura. È stato così, così... Alle tre dovevo ritrovarmi con te in albergo. Gli ho chiesto di accompagnarmi, così ci siamo
preparati e siamo venuti in hotel. Poi non ricordo più nulla. So solo che abbiamo
preso la metro. Ci siamo seduti, io mi
sono appoggiata al suo petto, come incantata. Lui mi lisciava i capelli in
silenzio.-
- Rossella, hai fatto bene, non dico di no. Ti sei concesso un bel momento,
di pura evasione, ma ora non devi pensarci più, devi andare avanti. Devi
guardare alla tua vita, a casa, a Roberto. Devi pensare a quello che di lui ti
piace, che ti è sempre piaciuto, quello che ha fatto innamorare.-
- Non lo so più, ora mi fa solo arrabbiare, ho lasciato correre troppe
cose, per troppo tempo.-
- Ma che vorresti fare, lasciare tutto e tutti e correre dal tuo Jean Claude?
Lasciare le ragazze, vivere a Parigi, sola con lui o pensi che ti seguirebbero?
Ragiona. E poi credi che Jean Claude ti vorrebbe a Parigi con sé?
- Uffa, ragiona, ragiona. E quello che mi ha ripetuto lui stamattina. Che
dobbiamo ragionare, che siamo persone adulte .-
- Vedi, anche lui ti dice di essere razionale, di mettere da parte le
emozioni. In poche ore, ha cambiato registro.-
- Forse, ma se è davvero una persona affidabile e coscienziosa come
credo, come sembra, cos'altro dovrebbe dire? Però è stato lui, quando ieri alle
tre mi ha riaccompagnato in albergo, a chiedermi di dormire insieme. Ed è stato
magico. Mi sono sentita così in colpa con te, Laura. Ti lasciata da sola per
tanto tempo.-
- Non importa. Siamo stati insieme abbastanza. Tutto il pomeriggio di
ieri e poi a cena. Ma mi rendevo conto che eri troppo inquieta, che morivi dalla
voglia di rivederlo.-
- Sì, è vero, non resistevo, non volevo perdere un solo minuto. Scusami.-
- Ma dai. Mi avete ficcato in quel taxi e voi, dove siete andati?-
- Oh, da nessuna parte. Anch'io credevo mi portasse in un locale, a bere
qualcosa. Ma abbiamo preso la metro e siamo andati subito da lui. In casa,
aveva lasciato le luci e la tv accese su un canale italiano. Ci siamo seduti sul divano e ha
cominciato di nuovo a parlarmi di sé. Mi ha detto tante cose; poi ha tirato fuori dal frigo una bottiglia di
champagne.
“Ti va di bere qualcosa? Sai, solo
per rilassarci un po'”.
“Sì, certo.”
Poi ci siamo messi a letto, verso le due, dopo aver chiacchierato tanto. Abbiamo fatto
l'amore a lungo. Lui era disteso, tranquillo e mi è sembrato bravissimo, esperto.
Nulla era casuale. Credo non fosse solo l'esperienza del cinquantenne, ma le
sue riflessioni, le sue letture, l’attenzione per me. In un angolo della stanza
aveva una libreria piena di volumi, anche in italiano. Poi ci siamo
addormentati, così, nudi e abbracciati. Anzi, in realtà, io non ho dormito affatto.
Ero così presa, così ansiosa. Avevo caldo, avevo freddo. Gli ho dato il
tormento per tutta la notte, credo, ma lui è stato così opportuno in tutto. Oh,
Laura, non puoi capire. Come farò?-
- Ma come farai Ross. È stata un'avventura, un flirt. Basta, è finita,
andata. Stamattina ti ha riportato in hotel e vi siete salutati, stop. Chiuso.
Dai, stiamo atterrando.-
Dopo pochi minuti atterrammo a Roma. Rossella mi accompagnò a casa con la
sua macchina e rientrò.
Ebbe per giorni un umore altalenante. Ci sentivamo spesso. A volte
guardava finanche le figlie con senso di
fastidio. Le riteneva in qualche modo responsabili delle sue rinunce. Altre volte
guardava la sua bella casa con giardino e pensava che tutto ciò che aveva in
fondo era meglio di quel che avrebbe potuto avere con Jean Claude. Lui le aveva
detto di dover lavorare ancora per circa dieci, dodici anni, poi aveva intenzione di vivere un po' Parigi, un po' in Canada, un po' di Costa azzurra,
dove stava acquistando un'altra casa. Rossella era affascinata da tutto ciò. Si
immaginava già come la matura signora
Peeters, cosmopolita, pronta a girare il mondo, ad arredare le case di Jean
Claude, a parlare in francese o in
inglese. Continuò a tartassarlo con telefonate, messaggi e mail, fin a quando
lui smise di rispondere.
Lei, un po' a
causa delle continue liti con Roberto e della sua infantile delusione, un po' a
causa del temperamento romantico, gli
scriveva cose eccessive, assurde. Con me si confidava, ma credo, per pudore, solo in parte. Faceva riferimenti assurdi a
Madame Bovary, ad Anna Karenina, alla passione bruciante che provava, simile ad
Attrazione fatale. Il poverino le rispose in modo molto sensato e sempre più laconico.
“Dobbiamo ragionare, grazie delle belle parole, grazie di tutti i tuoi complimenti,
non credo di meritarli. Non sappiamo se, frequentandoci, se stando insieme,
saremmo andati d'accordo... . Devi pensare alle tue figlie... . Non voglio
essere la causa della tua rovina”.
Gli inopportuni riferimenti letterari alle sue eroine, suicide per
passione, avevano colto nel segno o, meglio, avevano messo in fuga il bel
francese. Ma Rossella è un'integralista d'amore. È stata così. Per lei non ci
sono mezze misure.
Voleva tutto, tutto subito. Per tutta la sua inquieta e tormentosa estate,
continuò a mandargli messaggi eccessivi, messaggi che rimasero puntualmente
senza risposta. Grazie a Dio, il belga aveva buon senso per tutti e due o,
forse, era spaventato dall'enfasi di Rossella e dall'idea di potersi scontrare con un geloso marito italiano. Rossella e Roberto
continuarono a litigare. Lei tirò fuori tutto il veleno, tutto il rancore
accumulato in venti anni. Rinfacciò a Roberto le sue uscite, i suoi viaggi da
scapolo, le sue disattenzioni. Lui si sentì colpito, ferito, seccato,
dispiaciuto e colpevole. Si difese, poi reagì chiudendosi a riccio.
Le cose sembravano dover precipitare da un momento all'altro.
Io, da buona amica, cercai di parlare con entrambi, di ricordare le loro
responsabilità di genitori e i bei tempi andati, il loro amore dei primi
giorni, l'elettricità che sprigionavano. Poi chiesi a Nicola di parlare con
Roberto, da uomo ad uomo.
Una sera Rossella mi invitò ad uscire a cena.
I nostri mariti erano presi dalle partite di Champion.
- Sai, mi disse Rossella, abbiamo parlato. Roberto ha smesso di
resistermi, di controbattere. Mi ha detto che cercherà di starmi più vicino, di
essere più presente in casa. Vogliamo andare avanti. Cercheremo di ritagliarci
un po' di tempo per noi, tra i tanti impegni di lavoro e di famiglia. Ed io ho capito
che lo amo ancora. Amo solo lui, così diverso da me. Jean Claude è stato solo un
vento di primavera. Nulla in sé e per sé, ma solo l'occasione che mi ha
risvegliata all'amore, alla passione, che mi ha fatto sentire di nuovo donna,
desiderata, viva. Ma questa cosa, la voglio vivere solo con mio marito.- - Sono felice per te Rossella. Non
poteva andare meglio. Hai combattuto, hai strillato, litigato, recriminato.
Volevi tutto o niente e hai vinto. Alla
fine hai avuto ragione tu. Talebana d'amore. -
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